Interactive Systems for the Creation and Evolution of Web Platform Projects,
Prototyping, Communication Strategy, Crowdsourcing Design, Processing Platforms,
an experimental project on interoperability of research and teaching of Data-Design
conducted through innovative scenarios and forms of organization of the processes
of interactive and collective learning.
in copertina:
Immagini tratte dal sito (annuale) web di sperimentazione didattica ad uso esclusivo degli allievi del corso di Design, prof Cecilia Polidori, freak & pop design . design frikkettone 5/ Sixties Design in the World - PIATTAFORME DIDATTICHECORSO DI DESIGN” -https://designfrikkettone5.blogspot.com/, esempio di sperimentazione con applicazioni di resina espansa, allievo Daniele Parrello, Donna in scala, a.a. 2018,https://designfrikkettone5.blogspot.com/2019/03/donna- in-scala-daniele-parrello.html

materiali e aggiornamenti sulla nuova piattaforma didattica web "DESIGN FRIKKETTONE 10 CORSO DI DESIGN 2019-20" -
https://polidoridesign2020-1.blogspot.com/

prototipi in Dipartimento 24 Ottobre 2019

prototipi in Dipartimento 24 Ottobre 2019

17 Ottobre 2019

17 Ottobre 2019




LEZIONE 17 - Enzo MARI

"Tutto ciò che ci circonda, naturale o artificiale è forma. La forma corrisponde al significato di un oggetto e la ragione per cui un oggetto viene costruito e rappresenta - se è ben fatta - la sua più alta qualità.
Il problema della forma è ricercarne l'essenza."
da: 
da: 
"(allievi)dovete raggiungere l'ottimalità ogni volta, ognuno di voi non pretenda di fare tutto, poi c'è tutta la vita davanti, a poco a poco,... ma in questa fase qua, uno faccia solo una cosa, e deve scegliere lui che cosa gli piace, deve essere un soggetto che intanto che va a casa ci pensa: "allora provo a cambiare...", intanto che mangia la minestra fa le prove."
"... sono tante le ipotesi di lavoro, dove però il disegno, la forma, non avviene per caso, no: è disegnata la proporzione, sia l'oggetto sia la logica delle disposizioni."
"... cos'è bello in questo vaso? questo: è bello la materia che cambia spessore."
"... la cosa bella di quest'oggetto... è la sua qualità artigianale, parte della sua bellezza... e se si prova a fare questo tale e quale, con gli spessori ma solo bianco: emerge un'altra qualità, emerge la qualità della struttura, degli incollaggi e non è vero che sia un colore solo perché dove ci sono le sovrapposizioni c'è un po' di colore in più, si vede più la plasticità..."
"... anche quando passo giornate intere a teorizzare, provo etc: non mi fido mai! ... non fidatevi del disegno... l'oggetto va guardato... occhio che non pensa, non deve pensare a niente, delle ragioni per cui è stato fatto! L'unica cosa che conta è quello che si vede."
 Enzo Mari, Proposta per la lavorazione a mano della porcellana, serie Samos, 1973.
da:
da:
"L'unico progetto possibile è che i giovani si muovano e comincino a capire che l'unica cosa da fare è lavorare per de-condizionare la gente da dio della merce".
da:
"Sono stato costretto a comprare un paio di computer e tanto per incominciare sono più veloce io, di tre volte... 
è utilissimo (se devo mandare un disegno o una fotografia) è perfetto, faccio una specie di raccomandata...
poi quando il progetto è terminato, che venga registrato (dal computer) è utilissimo. Ma è quanto di più sbagliato come macchina di progetto."
da:
da: Google

DESIGN 2013/14 n 1 prof POLIDORI - Design and Evolution of ...

per il 2011-2012: cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: GRADUATORIA DEFINITIVA in ...
1 nov 2012 - Caricato da Ephraim Pepecfr.: Google " parole chiave ....
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 5: Fable game packaging - http://ceciliapolidoritwicedesign5.blogspot.it/2012/05/in-un-gioco-per-bambini-il-giovane.html
cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: esito Lezione 2 parte 2 - http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.it/p/esito-lezione-2-parte-2.html
CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN: serendipity trovando la Terza Dimensione cercando Puccini e Calderòn de la Barca - http://ceciliapolidoritwicedesign.blogspot.it/2011/11/em-puccini-e-calderon-de-la-barca-omero.html
da: cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: esito Lezione 3 piattaforma 2/2 - chiavi 11-17 - http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.com/p/esito-lezione-3-piattaforma-2-parte-2_04.html

esito Lezione 3 piattaforma 2/2 - chiavi 11-17


  • esito 3° Lezione - appunti Lezione 3

    esito Lezione 3 piattaforma 2 parte 2 - chiavi da 11 a 17
  • 11. Achille e Pier Giacomo Castiglioni, Pubblicato da Immacolata Lacopo a 11/22/2011 12:05:00 AM
  • martedì 22 novembre 2011


    Achille e Pier Giacomo Castiglioni

    Il giorno del vernissage, percorro la balconata, scavalco altri orrori,e scopro una saletta realizzata dai fratelli Achillee Pier Giacomo Castiglioni, che non conoscevo , dove gli oggetti suggeriscono un luogo di vita fresco , del tutto diverso dal resto.Ma allora,forse,si può fare qualcosa di decente,con questo design.
    ENZO MARI,25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, Marzo 2011,1° ediz.,capVI pag 52


    "COLORI E FORME NELLA CASA D’OGGI"
    Villa Olmo, Como
    1957 Progetto: Achille e Pier Giacomo Castiglioni
    In questo ambiente per soggiorno sono presenti elementi di arredo scelti dalla produzione di serie, alcuni dei quali realizzati in seguito, altri prodotti sui modelli che si possono considerare classici (sedie e poltrone pieghevoli, cestini in vimini). Figurano, inoltre, elementi realizzati con criteri d’indagine e adottati a scopo sperimentale:sgabello per telefonosedile metallico molleggiato, poltrona in gomma piuma, paravento in carta, televisore a saliscendi, lampada a bulbo fluorescente. Le pareti sono interessate da una decorazione eseguita con stampi traforati di Giuseppe Ajmone. Questa proposta di ambiente raggruppa, in un solo progetto, tutti i comportamenti progettuali che caratterizzano lavori di A. e P.G. Castiglioni: l’attenzione scenografica al volume dell’ambiente e ai piani delle pareti progettate tenendo in considerazione il movimento del visitatore. La ricerca di oggetti esistenti come allenamento e autoeducazione alla progettazione: l’indicazione che, se gli oggetti sono validi, possono coesistere senza la necessità di uno stile che li accomuni; la decorazione come elemento di sottolineatura espressiva, conglomerata nel progetto e non forzatamente sovrapposta, la curiosità verso gli oggetti che esprimono 
    particolarità costruttive e progettuali e l’affetto per questi oggetti. 

    Figlio dello scultore Giannino, Achille Castiglioni si è laureato al Politecnico di Milano nel 1944; dopo la laurea lavorò nello studio dei fratelli maggiori Livio (1911 - 1979) e Pier Giacomo (1913 - 1968) in piazza Castello a Torino, dedicandosi a progetti di urbanistica, architettura, mostre, esposizioni, e product design.Quattordici delle sue principali opere sono presenti al MOMA di New York. Il MOMA ha realizzato con le sue opere la più grande retrospettiva mai dedicata ad un designer italiano.
    Achille Castiglioni in coppia con il fratello Pier Giacomo ha progettato oggetti di produzione seriale per aziende come: Kartell, Zanotta, Flos, Bernini, bbbEmmebonacina, Siemens, Knoll, Poggi, Lancia, Ideal Standard, Arflex, Alessi.
    MEZZADRO Sedile
    1957 Progetto: Achille e Pier Giacomo Castiglioni
    (1957), 1970 Produzione: Isa (prototipo 1957), Zanotta

    Mezzadro sedile,1970
    Mezzadro sedile,1970

                                                               IlprogettoMezzadroesprime forse in modo 
    più evidente la volontà di usare una parte di un oggetto esistente, confermandone la forma ma spostando il luogo e il modo d’uso: adoperare il sedile di un trattore, progettato nei primi anni del novecento, come sgabello da usare nelle nostre case (riferimento villa Olmo).E’ composta di quattro elementi: sedile, perno di fissaggio, balestra e traversa. Anche nel particolare sistema del fissaggio troviamo un oggetto familiare, usato per il bloccaggio delle ruote della bicicletta, un galletto grande che consente di serrare bene il tutto senza l’uso di cacciaviti o chiavi. La seduta è in lamiera stampata e verniciata; la balestra (in acciaio inox), sostegno del sedile, anch’essa presente sul trattore ma girata nell’altro senso per assorbire i sobbalzi del mezzo agricolo sul terreno, qui serve per rendere più elastica la seduta. La traversa di legno (faggio massiccio), che ricorda vagamente un giogo, fornisce gli altri due punti d’appoggio necessari per la stabilità del sedile.


    SELLA Sedile
    1957 Progetto: Achille e Pier Giacomo Castiglioni
    (1957), 1983 Produzione: Zanotta
    Sella sedile,1957
    Sella sedile,1957



    “Sgabello per telefono” realizzato con elementi industriali, si traduce in una seduta “sempre in piedi”.E’ composto di un basamento dell’equilibrio dinamico a mezza sfera in fusione di ghisa (diametro 33 cm), il sedile è composto di una sella da bicicletta in cuoio, regolabile in altezza, portata da un tubolare verticale in acciaio verniciato rosa.L’altezza totale del sedile è di 71 cm ed è estensibile.L’idea progettuale di questo oggetto non può essere colta se non si ricorda che negli anni cinquanta la maggior parte dei telefoni anche nelle abitazioni erano collocati su di una parete e le persone per utilizzarli dovevano restare in piedi accanto all’apparecchio.Il prototipo è stato presentato nella mostra “Colori e forme nella casa d’oggi” tenutasi a Villa Olmo, Como nel 1957.

     Lampada da terra 1962 Progetto: Achille e Pier Giacomo Castiglioni 1962 Produzione: Flos
    Lampada da terra,1962

    Lampada da terra a luce diretta, assolve la necessità di illuminazione diretta su un tavolo senza avere il vincolo del punto luce fisso al soffitto. La base della lampada è costituita da un parallelepipedo di marmo bianco di circa 65 kg, gli angoli sono smussati, munito di un foro praticato nel baricentro, utile sia al fissaggio dello stelo verticale che sostiene l’arco vero e proprio, sia allo spostamento agevole della lampada (inserendovi per esempio un semplice manico di scopa).Lo stelo arcuato è costituito da tre settori in profilato di acciaio inossidabile con sezione a U capaci di consentire, scorrendo l’uno dentro l’altro, l’avanzamento telescopico e il passaggio nascosto dei fili. Ciò conferisce all’arco piu’ ampiezze, con il posizionamento del riflettore a tre diverse altezze.La cupola è formata da due pezzi: uno fisso a forma di calotta forata per facilitare il raffreddamento del portalampada (lampadina da 100 watt in vetro opalino), l’altro un anello di alluminio mobile, appoggiato al primo, in modo da poter essere rettificato in posizione, a seconda dell’altezza del terzo settore dell’arco.

    Link riferimento testo:
    Link riferimento immagini:
  • 11. Achille e Pier Giacomo CASTIGLIONI, Pubblicato da Valentina Laiacona a 11/23/2011 03:15:00 PM
  • 11. Achille e Pier Giacomo CASTIGLIONI, Pubblicato da Francesco Longo a 11/26/2011 05:05:00 PM
  • sabato 26 novembre 2011


    E.M. Achille e Pier Giacomo CASTIGLIONI

    I fratelli Castiglioni, hanno rappresentato negli anni 40-50 una incredibile fucina familiare di genialità inventiva che ha lasciato nel mondo del design, non solo nazionale, una traccia indelebile. Progettando soprattutto apparecchiature domestiche su un filo conduttore basato sulla rielaborazione e ricostruzione dell'esistente, i fratelli Castiglioni hanno ridato forma, vita e dimensione agli oggetti della quotidianità, sottolineando ed accompagnando il profondo cambiamento di un mondo che, superata la durezza degli eventi bellici, si affacciava fiducioso su un futuro tutto da innovare. Specialisti nel campo dell'illuminotecnica e delle apparecchiature elettroacustiche i tre fratelli, assieme fino al 1952, firmano progetti che diventano tappe importanti nella storia del moderno design. Nel 1952 Livio inizia una propria attività indipendente diventando progettista e consulente di alcune tra le più grandi industrie italiane Olivetti, Fiat, Brionvega e altre. Piergiacomo e Achille invece proseguono insieme fino alla scomparsa di Piergiacomo avvenuta nel 1978. Ben sette volte si aggiudicano il prerstigioso riconoscimento del Compasso d'Oro Oscar italiano del design. “I Castiglioni infatti non solo sapevano trasformare il ready-made in design, ma sapevano fare anche il percorso inverso, trasformando il design in ready-made: un oggetto del tutto nuovo in una sorta di oggetto trovato.” Andrea BRANZI Pier Giacomo e Achille, i fratelli Castiglioni, sembravano guardare le cose e scoprirne insieme il “senso” e il “non-senso”. Senza ripete mai lo stesso segno, lo stesso stilema, i loro oggetti sono tutti riconoscibili, uniti da questa capacità di inserire in ognuno di essi un surplus di energia e una sorpresa ironica. Nel loro studio di Piazza Castello, oggi sede dell’Archivio Castiglioni, esiste una collezione di strumenti, di oggetti trovati, di piccoli capolavori del design anonimo: martelli, forbici, strumenti agricoli, vestiario tecnico. Questa collezione è uno degli incunaboli alla loro progettazione. Una progettazione che ha avuto inizio proprio dalla loro disponibilità, a partire da tipologie esistenti, da meccanismi collaudati e dal saperli collocare in un “vuoto di senso” da cui potevano iniziare una nuova vita: una canna da pesca, un sellino di bicicletta, il sedile di un trattore, potevano diventare “altro”. Nuovi oggetti per un nuovo modo di abitare. Per i fratelli Castiglioni la tecnologia non era un mito, ma piuttosto si trattava di una tecnologia esibita perché innocua e divertente: questo era il vero “razionalismo sarcastico italiano”, privo di una metodologia e di un linguaggio unitario, dove designer come i Castiglioni insegnavano all’industria la modestia dell’artigianato, senza la retorica delle grandi imprese o del “fatto a mano”, per estrarre in maniera quasi ingenua i meccanismi essenziali, come se fossero dei semplici buoni consigli, trovati casualmente nel cervello (molto sapiente) del progettista. Un “razionalismo” che in Italia è sempre stato sinonimo di “semplicità” e non di rigore scientifico. Il loro rapporto al Design Contemporaneo è fondamentale, il loro metodo progettuale applicato agli allestimenti interni, all’architettura e all’arredo ha prodotto opere ancora oggi ammirabili per eleganza formale e perfezione esecutiva, per invenzione e incisività. Un approccio al design che Achille ha continuato anche dopo la morte del fratello fino ai primi anni del XXI secolo. La curiosità, la continua ricerca e la capacità di dialogare con l’utilizzatore dell’oggetto da progettare sono le caratteristiche fondamentali che Achille Castiglioni riconosce ad un buon designer.Il loro metodo si basa principalmente sui due concetti di ridisegno e ready made.
    RR126 (prod. da Brionvega, Brionvega/Sim2, 1965, riedizione 2008)nasce come apparecchiatura stereofonica ad alta fedeltà. L’apparecchio, concepito come un oggetto autoportante componibile, a volumi separabili, è in grado di fornire prestazioni acustiche innovative per l’epoca come la stereofonia e l’alta fedeltà. Il supporto del corpo centrale è in fusione di alluminio anodizzato ed è composto da quattro ruote a sfera e permette un’agevole mobilità dell’apparecchio. Le casse possono assumere tre collocazioni differenti: appoggiate entrambe sul blocco centrale a formare un cubo, offrendo così un ingombro minimo; oppure agganciate sui due fianchi a formare un parallelepipedo. Si possono allontanare le casse a piacimento visto la disponibilità di lunghi cavi di collegamento. A sapienti artigiani è affidata, oggi come allora, la costruzione del mobile e delle casse acustiche in legno, mai uguali, mai “perfetti” poiché non da produzione seriale, sempre splendidi e unici. Così come unici e artigianali sono il piedistallo, ottenuto da una fusione in alluminio spazzolato, le lucidature e tutte le laccature. Il nuovo Radiofonografo Brionvega ripropone un modello fedele all’originale nei dettagli, ma evoluto nella tecnologia che ne valorizza ampiamente le performance. Ancora oggi infatti è presente il giradischi per l’ascolto dei dischi in vinile.
    GATTO (prod.Flos, 1967) lampada da tavolo a luce diffusa. Struttura interna in acciaio verniciato a polvere bianco. Diffusore in resina “cocoon” spruzzata sulla struttura, con protezione trasparente, realizzata a spruzzo alla fine della lavorazione. Sul cavo è presente il dimmer elettronico che consente la regolazione a step dell’intensità luminosa. SNOOPY(prod.Flos, 1967) lampada da tavolo a luce diretta con riflettore in metallo verniciato e base in marmo bianco. TUBINO (prod. Flos Anno, 1949) lampada da tavolo.
    La sedia LIERNA ( prod. da Cassina e successivamente da Gavina, 1960) deriva dalla riflessione sulla sedia tradizionale.
    “..E’ una sedia appositamente pensata come sedile da accostare al tavolo da pranzo. E’ risultata pertanto con lo schienale piuttosto alto che fa scudo alle spalle del commensale, stretto per facilitare i movimenti di chi serve il pranzo e che ben si addice alla posizione composta delle persone sedute. La sedia è stata studiata da noi per i Cassina, e ci siamo orientati su una sedia leggera con incastri a sezioni ridotte all’essenziale …” Achille e Pier Giacomo CASTIGLIONI
    La sedia pieghevole TRIC (prod. da Bernini, BBB Bonacina, BBB Emmebonacina, 1965, 1975, 2008) è una riprogettazione della vecchia sedia Thonet degli anni ‘30 uscita di produzione. Il modello Tric la riprende modificando dimensioni e finiture per renderla adatta alle esigenze specifiche. Lo schienale viene progettato più alto e le parti in compensato rivestite in feltro.Oggi è ancora in produzione BBB Emmebonacina in legno colore bianco e nero oppure in plastica trasparente. Per Bernini i fratelli Castiglioni reinterpretano la sedia pieghevole Thonet degli anni ’30 non più in produzione.Al fine di irrobustirla e renderla adatta alle esigenze della committenza (fu presentata in occasione dell’allestimento della Casa Abitata a Firenze, 1965) le modifiche riguardarono le dimensioni (schienale leggermente più alto) e le finiture (schienale e seduta in compensato rivestite di feltro).Ora prodotta da BBB emmebonacina in varie finiture tra cui la versione in policarbonato trasparente.
    MEZZADRO (prod. Zanotta, 1970 e prototipo del 1957) , la seduta in metallo verniciato prelevata da un trattore, fissato tramite un galletto da bicicletta alla balestra rovesciata in acciaio cromato, una traversa di legno a memoria di un giogo tiene il tutto in equilbrio, viene presentato nel 1957 alla XI Triennale di Milano. Gli Autori scelgono di usare per le loro opere oggetti già esistenti, come alcuni artisti contemporanei, per esempio Marcel Duchamp e Pablo Picasso. Mezzadro è dotata di un sedile in lamiera stampata e verniciata che apparteneva a un vecchio trattore agricolo. La parte sottostante in acciaio, che originariamente assorbiva le oscillazioni dovute al terreno irregolare, viene rimodellata come in una seduta cantilever. Infine, per dare equilibrio, viene montato un elemento trasversale in legno. Mezzadro non ha più nulla della sedia tradizionale, è un’autentica innovazione.
    FRUTTIERA SCOLATOIO (prod. Alessi, 1995) Nata dalla combinazione di oggetti d’uso quotidiano diversi, un piatto d’appoggio rotondo, un fusto da impugnare e un catino – tutti in alluminio colorato a forno con resine epossidiche, grigio e antracite – formano la grande coppa in cui alloggia un cestello in rete d’acciaio, munito di due manici, consente di lavare la frutta sotto l’acqua corrente, per poi riporla nella coppa e servirla direttamente a tavola. La distanza tra il cestello e il catino permette di mantenere freschi più a lungo soprattutto la frutta più delicata come fragole, ciliegie, uva ecc.
    TACCIA ( prod. Flos, 1962) conserva ancora oggi il fascino di un oggetto senza tempo. Raffinata luce da tavolo, grazie alle notevoli dimensioni è utilizzabile anche come lampada da terra. Si compone di una base realizzata in alluminio estruso anodizzato, disponibile anche in nero. Sulla base è appoggiata una ampia campana di vetro traslucido, che può essere orientata liberamente per indirizzare la luce, sormontata da un disco concavo in alluminio bianco. La sorgente luminosa è nascosta all'interno del supporto di metallo, profilato con delle sporgenze per migliorare la diffusione del calore della lampadina. Questo accorgimento tecnico, che fa assomigliare la base a una colonna classica, è diventato la principale caratteristica formale della lampada, e ne ha decretato il grande successo. Attraverso il dimmer elettronico, presente sul cavo, è possibile regolare l’intensità dell’emissione.

    Riferimenti Sitografici per testo ed immagini :
    http://www.italianidea.it/cgi-bin/notizie.asp?id=85&col=FFFDEA http://maestrideldesign.wordpress.com/2011/07/19/achille-e-pier-giacomo-castiglioni-1918-1922-1913-1968-1a-parte/http://atcasa.corriere.it/catalogo/prodotti/Flos/Taccia.shtml# http://www.dibaio.com/arredamento/zona-giorno/redazionale/achille-e-pier-giacomo-castiglioni---gio-ponti.aspx http://www.achillecastiglioni.it/it/projects/id-44.htmlhttp://www.lafeltrinelli.it/products/9788866480105/Achille_e_Piergiacomo_Castiglioni/Matteo_Vercelloni.html http://www.designcan.it/prodotto/3111/SNOOPY_Lampada_da_tavolo_by_Achille_e_Pier_Giacomo_Castiglioni_http://www.designcan.it/prodotto/3091/GATTO_Lampada_da_tavolo_by_Achille_e_Pier_Giacomo_Castiglioni http://www.triennaledesignmuseum.it/collezioni/oggettis/details/1357/page:1/sort:Miecollezioni2.ogg_nome_it/direction:/asc?p=1 http://www.achillecastiglioni.it/it/projects/id-45.html http://www.nokiovo.it/Multimedia/foto/foto5/slides/Mezzadro,%20Castiglioni,%201957.htm
  • 12. vaso Camicia, produzione Danese, 1961, Pubblicato da Alessandro Barreca a 11/27/2011 12:51:00 AM
  • domenica 27 novembre 2011


    vaso Camicia, produzione Danese, 1961

    Enzo Mari 3 vasi camicia 3033F 1961 alluminio e vetro L'impresa Danese viene fondata nel 1957 da Bruno Danese e dalla sua compagna svizzera Jacqueline Vodoz, è considerata l'azienda tra le più visionarie e sofisticate del design italiano, che sino ai primi anni Novanta ha creato oggetti che univano arte, tecnica, artigianato e grafica. Sin dalla propria nascita si è ispirata all'uomo e ai suoi bisogni e si è configurata come luogo di sperimentazione da cui sono state formulate risposte elementari alle esigenze manifestate da una società e da un contesto in costante evoluzione. Nell'orbita di questa azienda, hanno operato figure cardine del design italiano, come Bruno Munari ed Enzo Mari, che hanno sviluppato prodotti innovativi ed interpretazioni attuali degli oggetti di uso quotidiano. Nello specifico, nel 1961 Enzo Mari ha firmato la realizzazione del vaso Camicia, un pezzo di arredo da ascrivere nella sfera dei classici, che risulta essere di grande effetto e tuttora sorprendentemente moderno. Il vaso presenta una forma semplicissima ma rivelatrice di una grande eleganza. L'artista ha puntato sull'essenzialità degli elementi di cui il prodotto si compone. In effetti il pezzo consta di due componenti indipendenti e di materiale differente ma che nello stesso tempo risultano essere strettamente connessi: nella parte interna, un cilindro di vetro trasparente; all'esterno, un tubo di alluminio anodizzato e opaco, senza fondo. Caratteristica di questo rivestimento esterno è il taglio verticale che percorre tutta l'altezza del vaso, conferendo al pezzo un carattere originale ma al contempo estremamente funzionale dal momento che permette di poter osservare interamente i fiori collocati nel recipiente interno. Il diametro del vaso è di 12 cm e con un'altezza di 28 cm. Da un'attenta osservazione critica di questo complemento d'arredo mi sono posto un interrogativo, e cioè, quale fosse stato il motivo che avesse spinto il design ad attribuire alla sua creazione questo nome così particolare. Pur non avendo trovato dei riferimenti bibliografici a riguardo, tuttavia sollecitato dalla mia curiosità, ho pensato che una qualche correlazione di fondo tra nome e realizzazione ci dovesse essere. La conclusione a cui sono arrivato, è che la visione complessiva del vaso sembra rimandarci all'immagine di una camicia. Bibliografia: http://www.exibart.com/profilo/eventiv2.asp?preview=si&stampa=si&idelemento=108160 http://www.danesemilano.com/http://atcasa.corriere.it/catalogo/prodotti/Danese/Camicia.shtml http://www.italianidea.it/cgi-bin/notizie.asp?id=108&col=FFF2E6 Pubblicato da Alessandro Barreca
  • 12. vaso Camicia, produz. Danese, 1961, Pubblicato da Martina La Manna a 11/23/2011 06:57:00 PM
  • mercoledì 23 novembre 2011

    E.M. Vaso Camicia
    E.M. Vaso Camicia, produzione Danese 1961
    "Iniziamo dal vaso per fiori Camicia, del 1961, con il quale ho proseguito i miei studi sui semilavorati. In questo caso, il materiale di partenza è un semplice tubo di alluminio:inserendovi un cilindro di vetro soffiato e fresandone una porzione verticale al centro, o una porzione circolare a metà, si lascia intravedere anche la parte di un fiore che di solito è nascosta, cioè lo stelo immerso nell'acqua. Un ribaltamento."
    ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, 5°ediz. marzo 2011, pag 55
    Alla base dei progetti di Enzo Mari è chiaro l'intento di produrre oggetti dalle forme che per la loro semplicità,bellezza e funzionalità siano indipendenti dalla moda, siano producibili in serie. La collaborazioni di Mari con Danese si fonda su questi presupposti e la serie dei vasiCamicia è uno dei primi prodotti nati da questo sodalizio. Agli inizi degli anni 60 il fulcro delle ricerche di Mari si concentra sul progetto di oggetti attraverso lavorazioni industriali più semplici. I primi esperimenti consistono in contenitori in lamiera saldata, o in ferro profilato (serie Putrella 1958), per passare ad una ricerca formale più complessa su materiali pregiati: vetro, cristallo, alluminio. Con i vasi Camicia, Mari dimostra come sia possibile raggiungere un'altissima ricchezza formale perseguendo processi industriali che permettono di tagliare con precisione vetro e alluminio. La composizione di questo oggetto è molto semplice: consiste in un vaso in vetro o cristallo inserito in un contenitore in alluminio anodizzato opaco senza fondo. Il diametro è di 12 cm per un'altezza di 28 cm. Nelle versioni successive, la porzione bucate del contenitore in alluminio derivano da un modulo comune di taglio e conferiscono ai vasi, prodotti in serie con grande semplicità, una preziosa diversità artigianale.

    Vasi della serie Camicia in alluminio e cristallo, 1961

    Bibliografia:
    STEFANO CASCIANI, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano
    Immagini:
  • 12. vaso Camicia, produz. Danese, 1961, Pubblicato da Lavinia Parisi a 11/23/2011 05:43:00 PM
  • mercoledì 23 novembre 2011


    E.M. vaso Camicia, produz. Danese, 1961

    Fondata alla fine degli anni ’50 da Bruno Danese e Jaqueline Vodoz, con la collaborazione di alcuni artisti-designer; l’attività Danese inizia come un laboratorio artigianale per la produzione e la vendita di oggetti “unici”, “pezzi d’artista”, nel settore dei complementi d’arredo. Dopo un periodo di attività decentrata, Danese Milano apre la propria struttura espositiva in Piazza San Fedele: lo spazio è concepito non come semplice negozio ma come una vera galleria d’arte dove si succedono importanti mostre che esplorano “i possibili campi di intervento degli artisti sul problema dell’oggetto d’uso”. Significativo è l’incontro di Danese nel 1958 con due grandi designer, Bruno Munari e Enzo Mari, che segna il passaggio da una produzione di oggetti unici a una produzione in serie: nasce cosi una nuova collezione di oggetti per la casa non più solo esclusivamente indirizzati ad un mercato elitario. Danese è un vero e proprio “laboratorio sperimentale” per l’ideazione e la produzione di oggetti per la serie.

    “Nel 1958 Bruno Munari parla di me a Bruno Danese, che viene a trovarmi. Sintonia immediata: è un giovane della mia età, curioso, appassionato. S’innamora al primo sguardo del Gioco dei 16 animali e dei frutti delle mie ricerche artistiche, di cui diventa collezionista. E’ grazie a quell’incontro fortunato che la mia vocazione ha la possibilità di esprimersi, e tramutarsi in un lavoro a tempo pieno: per Danese, dall’inizio degli anni Sessanta ai Settanta, sviluppo una sessantina di progetti messi regolarmente in commercio. Mezzo secolo dopo, una decina lo sono ancora e c’è chi li considera dei classici.“
    Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011,1° ediz.,pg 52
    79 anni, 4 Compassi d’Oro e più di 1500 oggetti di design realizzati nella sua carriera di designer. Qualcuno lo ha definito “la coscienza di tutti noi, la coscienza dei designers”.
    Enzo Mari è un teorico della progettazione industriale con l’etica come obiettivo del progetto. L’aspetto funzionale degli oggetti, l’efficienza delle prestazioni, la ricerca in campo di materiali e lavorazioni, sono i suoi principi base. Dopo la formazione all’Accademia di Brera inizia un progetto di ricerca che spazia dagli studi sulla percezione visiva (è tra gli esponenti dell’Arte Programmata e Cinetica), alla grafica e all’architettura. Contemporaneamente si dedica all’attività nascente del disegno industriale, presentando il suo primo progetto al brand Danese nel 1958. Un’attività di ricerca e progettazione per cui gli sono stati conferiti vari premi, tra i quali, i Compasso d’Oro.
    Il Vaso Camicia, produzione Danese, 1961
    Semplicissimo nella concezione ma di grande effetto, il vaso da fiori Camicia nasce nel 1961 ed è ancora sorprendentemente moderno.
    L’autore del progetto è
    Enzo Mari, da sempre legato da uno stretto sodalizio al brand Danese, che tuttora conserva in catalogo questo elegante complemento d’arredo. Di forme asciutte e essenziali, il vaso si compone di un duplice elemento: un cilindro di alluminio anodizzato opaco, senza fondo, sostiene e avvolge un contenitore di vetro trasparente. Il rivestimento esterno in metallo presenta un taglio verticale a tutta altezza che lascia intravvedere sul un lato il recipiente interno, e può così mostrare interamente i fiori collocati nel vaso.
    Più di cinquant’anni ci separano dalla fondazione del marchio Danese. Lo scorrere del tempo ha generato un catalogo complesso e raro, tra innumerevoli prodotti, molteplici funzioni d’uso, passando attraverso l’ampiezza della scala dimensionale, l’eterogeneità dei materiali e la presenza di un corposo catalogo luce.
    Nel 2010 Danese ha deciso perciò di partire dall’analisi di questo enorme database per inventare nuove strategie e vagliare inesplorati campi di ricerca.
    Il vaso Camicia nel progetto “WASTE.NOT” di Danese.
    WASTE.NOT nasce da un’utopia necessaria: credere di poter dare nuova vita alle risorse di materiale, energia e pensiero già prodotte e che devono essere conservate. La ricombinazione dei geni formali e funzionali propri del marchio rendono possibile la salvaguardia della sua ‘biodiversità’ oggettuale, generando nuovi ibridi o, chissà, chimere. Piccoli mostri di origine divina che propongono nuove funzioni estetiche e d’uso: create ‘ad arte’ traendo spunto dai bisogni e dalle utopie della vita quotidiana, esse si sviluppano in un processo continuo di ibridazione che coinvolge non solo i comportamenti umani ma anche la vita vegetale e quella animale.
    WASTE.NOT non parla di “riciclaggio”, come trasformazione dello scarto per ricavare nuove materie prime, ma di “ricombinazione” dell’esistente in artefatti rifunzionalizzati, in grado, così, di acquisire nuova vita e nuova funzione grazie ad una manipolazione pratica e intellettuale.
    Posacenere riconvertiti in microgiardini, appendiabiti che diventano trofei anti-caccia, librerie che si trasformano in orti domestici.
    Horti & Horti - orto domesticoprodotto ricombinato da: Marcello Pirovano
    Contiene parti dei seguenti prodotti Danese:
    H&H, libreria, Paolo Rizzatto, 2007
    Camicia, vaso, Enzo Mari, 1961
    Scomparto, contenitore raccolta differenziata, Enzo Mari, 2001
    Koro, cestino, Enzo Mari, 1977
    materiali: metallo verniciato fotocatalitico, ABS, vetro / colore:verde, bianco, nero, opalino
  • 13. Kartell, Pubblicato da erika.fammartino a 11/23/2011 01:09:00 PM
  • mercoledì 23 novembre 2011


    E.M. Kartell

    Qualche mese dopo il lancio di Mascaren, la ditta Kartell realizza un oggetto completamente industriale, d'identica forma. Danese invia una lettera chiedendo spiegazioni, cui viene risposto in sostanza: e voi chi siete? Ci arrabiamo e facciamo causa. Dopo una lunga ricerca in tutta Europa, gli avvovati di Kartell non riescono ad individuare esempi di quel cestino precedenti al nostro. [...] Vinciamo,Kartell è obbligata a distruggere gli stampi e io scoporo che, per la giustizia italiana, ho inventato "un buco che attraversa un buco".
                                                                                                                             Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz. Pag  56
    Gettacarta e portacenere Mascarene design E.Mari
    è un'azienda italiana fondata nel 1949 a Noviglio, in provincia di Milano, che produce mobili e oggetti di disegno industriale ricercato in plastica.
    L'azienda fu fondata da Giulio Castelli, un ingegnere chimico che cominciò la propria attività producendo accessori per le auto e casalinghi in plastica. 
    I suoi studi sulle materie plastiche lo portano a un’intuizione che si rivelerà determinante per il destino dell’azienda e della storia del design italiano e mondiale: utilizzare la plastica nell’arredo casalingo e sostituire i materiali tradizionali come il vetro e il legno con le materie plastiche.

    Gettacarta e portacenere Kartell
    Nel panorama di quegli anni la plastica è vista ancora come un surrogato a buon mercato, ma di bassa qualità, di materiali più nobili. La sfida coraggiosa, trasformare la materia e soprattutto la sua percezione da parte degli utenti in un elemento alternativo e di pregio estetico, viene vinta grazie alla tecnologia e all’investimento sul progetto di design.

    La particolarità di Kartell è proprio l'utilizzo della plastica in arredamento in un modo del tutto originale e con l'uso di tecnologie di lavorazione tradizionalmente usate in altri settori industriali. I prodotti Kartell sono totalmente realizzati in Italia, anche se il maggiore mercato di vendita è costituito dagli Stati Uniti.
    Portasci design Giulio Castelli
    Secchio tondo con coperchio design Gino Colombini
    Giulio Castellidisegna come primo prodotto ilportasci K101. Ben presto vi affianca una divisione casalinghi e inizia la produzione industrializzata di articoli in polietilene seguendo l'intuizione di portare le materie plastiche nell'ambiente domestico con utensili nuovi: al secchio tondo con coperchio di Gino Colombini (1952) premiato con il Compasso d'oro nel 1955, seguono oggetti che sostituiscono in breve i materiali tradizionali. Il precoce impegno nel campo porta a prodotti nuovi, dalle forme insolite determinate dalle 
    qualità dei polimeri. 
    Gli anni Sessanta del Novecento segnano l'affermazione internazionale dell'azienda
    Sedia 4867 di J. Colombo
    Al polietilene si affiancano il poliestere, il polipropilene, l'ABS e al processo di stampaggio quello a iniezione. Nascono la seggiolina per bambini 4999 di Zanuso e Sapper, la prima sedia interamente in plastica (Compasso d'oro 1964), il portacenere/gettacarte 4610 di Gino Colombini, o gli elementi componibili quadri 4970 di Anna Ferrieri Castelli. La sedia 4867 di J. Colombo è del 1968: dapprima in ABS, poi in nylon e infine in polipropilene. Con la sedia 4584 di G. Aulenti (1974) seguita da tavolino e poltroncina, prende avvio la tecnologia dello stampaggio in poliuretano strutturale.
    Modello di arredo per interni presentato al Salone del Mobile a Colonia
    Sedia per bambini design Zanuso e Sapper
    Sedia 4870 di Anna Castelli Ferrieri
    Sedia 4870 Anna Castelli Ferrieri






    Negli anni ottanta, con la direzione artistica di Anna Castelli Ferrieri, i mobili Kartell conciliano la logica industriale e l’approccio “high technology” con le suggestioni del post modernismo; nascono prodotti di come il tavolo 4300, il primo tavolo di dimensioni consistenti interamente stampato ad iniezione, e la sedia 4870impilabile all’infinito.
    Tavolo-carrello di Citterio
    Gli anni Novanta sono contrassegnati dalla ricerca di nuove interpretazioni dell'oggetto in materiale plastico. L'arricchimento dei contributi di designer internazionali, insieme alla continua ricerca tecnologica, conducono a una nuova immagine della plastica, dotandola di qualità non tradizionali: touch, opacità, differenti colorazioni, forme spigolose e possibilità di abbinamento con altri materiali.

    Libreria Bookworm di Ron Arad
    Cassettiera Mobil 2000
    L'arricchimento dei contributi di designer internazionali, insieme alla continua ricerca tecnologica, conducono a una nuova immagine della plastica, dotandola di qualità non tradizionali: touch, opacità, differenti colorazioni, forme spigolose e possibilità di abbinamento con altri materiali. Si realizzano prodotti che mirano a sovvertire le consuetudini nell'uso degli oggetti: i tavoli e le cassettiere di Citterio e Loew giocano sulle trasparenze (Compasso d'oro 1995 alla cassettiera Mobil 2000), la libreria Bookworm di Ron Arad si srotola sulla parete.
    Divano Bubble Club di P.Starck
    Nel 2000 viene inaugurato il museo aziendale a Noviglio, grazie a un'apposita Fondazione. Un'operazione premiata con il Premio Guggenheim conferito come miglior museo d'impresa. Nella storia dei riconoscimenti conferiti all'azienda, il 2001 è ricordato come l'anno dell'attribuzione del nono Compasso d'Oro al divano Bubble Club disegnato da Philippe Starck.

    A partire dal 2000 è protagonista la trasparenza: dopo anni di ricerca e grazie a un’innovazione rivoluzionaria, Kartell è la prima azienda al mondo ad utilizzare il policarbonato per produrre oggetti di arredo. Il risultato è La Marie, una sedia completamente trasparente dal design moderno e minimale. Da questo momento Kartell sviluppa e approfondisce il tema della trasparenza che l’ha resa unica e originale, prosegue la ricerca nello studio delle superfici, partendo dall’uso di tecnologie nuove e materiali performanti.

            
    Sedia La Marie di P.Starck 

  • 14. cestino Mascarene, produz. Danese, 1964, Pubblicato da Martina La Manna a 11/24/2011 02:46:00 AM
  • giovedì 24 novembre 2011

    E.M. Cestino Mascarene

    E.M. Cestino Mascarene, produzione Danese 1964

    "..un'idea ne genera un'altra, quella del cestino gettacarte e posacenere Mascarene, del 1964: un altro tubo con due fori, stavolta in plastica nera, che ha molto successo al punto di diventare il riferimento per moltissime produzioni concorrenti. Ne trovavi uno in ogni aereoporto e ufficio pubblico o privato."
    ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, 5°ediz. marzo 2011, pag. 56
    La ricerca ed il successo ottenuto con il vaso Camicia del 1961, inducono Enzo Mari a perseguire lo studio sulla concezione spaziale e funzionale di interventi basilari (come sono appunto tagli e forature) su oggetti dalla forma semplice, in particolare su volumi primari come il cilindro. Il cestino Mascarene rappresenta la soluzione pienamente industriale, ancora più fruibile del precedente vaso, dal momento che Mari rinuncia al costoso binomio alluminio-vetro per scegliere un solo, ma vedremo altrettanto elegante, materiale. Si tratta di un tubo estruso in PVC, un materiale che negli anni 60 conosce un impiego senza precedenti ed un enorme successo commerciale grazie alla facilità di lavorazione e al basso costo che lo caratterizzano.
    Nella foto da sinistra : Tricorno uno appendiabiti 1977, Rocco portaombrelli 1969, Kergulen appendiabiti portaoggetti 1967, Mascarene posacenere gettacarte 1964
    Il boom della plastica alimenta quindi una frenesia consumistica che determina la produzione di innumerevoli oggetti e complementi d'arredo. In questo contesto, Danese promuove oggetti della massima semplicità ma altamente innovativi perchè derivanti da un processo produttivo industriale economico ed avanzato. Il lavoro di Mari però si svincola dall'obiettivo puramente commerciale, riuscendo a realizzare anche attraverso oggetti di uso comune un'espressione artistica che si attua nella funzionalità e nella forma, nel grande valore estetico che è universalmente condiviso osservando il gettacarte Mascarene da qualsiasi angolazione.
    Un oggetto pratico, che può essere collocato in qualsiasi ambiente, dal più informale al più elegante; di dimensioni contenute (90 cm x 25 cm diam.), presenta una foratura per gettarvi la carta e un comodo posacenere sulla sommità.
    Vale la pena citare in questa sede un'altro oggetto : l'appendiabiti Kergulen segue le stesse logiche compositive di Mascarene, ma qui Mari ricerca "nuove proprietà strutturali", una nuova polifunzionalità e una maggiore varietà di percezioni formali. Applica quindi non uno, ma due fori frontali sul cilindro, con funzione di portaoggetti e portaombrelli, mentre opera un sistema di tagli e bucature nella parte superiore, che consentono di appendere gli indumenti.
    Questa attenta ricerca del connubio tra semplicità, valori estetici, funzionalità, incontra un valido alleato nel progresso tecnologico: nuove possibilità di lavorazione nel 1980, portano il progettista a rivedere questi modelli. Madagascar, MascareneKergulen vengono riprogettati in funzione di di un diverso materiale: ABS (o melammina) stampato a iniezione, che non richiede più un operatore che intervenga sul tubo per le finiture dei tagli. Nel Kergulen questa evoluzione non si limita alla modalità di produzione, ma si traspone anche nella forma, che ora Mari vuole più architettonica.
    Dalla versione del 1962 a quella del 1982, Mascarene mantiene la semplicità formale e l'armonico carattere modulare di un oggetto che trova diffusione in tutti i luoghi che frequentiamo, da quasi 50 anni, divenendo la forma tipologica di riferimento per la maggior parte dei "gettacarte-posacenere" in produzione nel mondo.
    Martina La Manna
    Bibliografia
    STEFANO CASCIANI, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano pag. 153-156
    Immagini:
    STEFANO CASCIANI, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano pag. 153-156
  • 15. E. Mari e il Portacenere Borneo/portacenere Borneo, produz. Danese, 1966, Pubblicato da Alfonso Ianni a 11/29/2011 09:56:00 PM
  • martedì 29 novembre 2011

    E. Mari e il Portacenere Borneo

    "[...] Nel 1966 fumo due pacchetti di sigarette al giorno e decido di progettare un portacenere perfetto e definitivo. Deve contenere comodamente quaranta mozziconi, essere stabile, afferrabile con una sola mano, facilmente lavabile, possedere un bordo idoneo all'appoggio della sigaretta e un'area che ne facilita lo spegnimento. Tra i primi schizzi e le fasi intermedie di progettazione passa un anno, durante il quale continuo a chiedermi che senso abbia realizzare uno strumento perfetto per un vizio. Il giorno in cui ricevo il primo esemplare del Borneo, smetto di colpo di fumare. [...]"  da Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57


    Mari spiega che alla base della sua progettazione c’è il desiderio di proporre delle forme indipendenti dalla moda, destinate a durare, facili da realizzare tecnicamente, e che portino con sé, quando è possibile, un po’ del fascino degli oggetti e degli ambienti industriali, come accade esemplarmente nel vassoio Putrella, fatto appunto con una putrella piegata ai bordi, che porta il cantiere nel salotto. Altri tempi, verrebbe da dire, visto che negli ultimi anni il fascino degli ambienti industriali si è molto appannato. Ma non la potenza estetica spontanea che hanno gli oggetti, e che il design di Mari cerca di portare in luce. 


    Nel caso di Mari assistiamo a una ricerca che ha lo scopo di produrre un buon oggetto, attività
    per la quale, diversamente che nel caso dell’arte, non basta l’assenso di un critico e di un gallerista. Bisogna fare i conti conesigenze di funzionalità, di riproducibilità tecnica, di realizzabilità industriale.

    Bibliografia Testo: 
    Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57 , 
    La Repubblica-Cultura, Etica ed estetica del prodotto industriale: esce l’autobiografia del più grande creatore di oggetti -Domenica 3 Aprile 2011, pg.44
    http://www.awn.it/AWN/Engine/RAServeFile.php/f/Rassegna_Stampa/rep030411a.pdf
    immagini:
    http://www.lieucommun.fr/2010/11/promotions-sur-le-eshop/
    http://s1203.photobucket.com/albums/bb394/clash78/?action=view&current=105.jpg
    http://duendepressrelations.wordpress.com/2010/01/11/che-fare-text-by-enzo-mari-and-gabriele-pezzini/
  • 16. zuccheriera Java, produz. Danese, 1968 (1965 prototipo in PVC), Pubblicato da annafleresallievodesign a 11/29/2011 08:53:00 PM
  • martedì 29 novembre 2011

    Enzo Mari, zuccheriera Java, produz. Danese


    Dopo studi all’Accademia di Brera ed un primo periodo in cui è l’arte al centro dei suoi interessi con indagini di psicologia della visione sul rapporto tra spazio, forma e ambiente, Enzo Mari approda alla Rinascente, dove si occupa dell’allestimento delle vetrine e disegna oggettistica da regalo. Nel 1958  Munari parla di lui a Bruno Danese e l’incontro è subito felice. Da allora Mari progetterà per la Danese circa 100 prodotti. Come avrà modo di annotare recentemente lo stesso Mari sul suo rapporto con Bruno Danese, lui che non è certo mai stato prodigo di complimenti sul mondo del design: “tra di noi non esiste alcun patto scritto oltre a quello inerente ai diritti d’autore sui modelli realizzati, ma di fatto sono il consigliere, l’art director, il grafico, l’allestitore, il redattore... Nei quarant’anni successivi non ho più incontrato un imprenditore di tale intensa qualità”. Dal canto suo, Danese ricordando il complesso rapporto che lo ha legato a Mari e le discussioni di progetto che potevano durare ininterrottamente dalle 9 di mattina alle 2 di notte, durante le quali Mari vivisezionava ogni aspetto del prodotto fino alle sue più sottili conseguenze di mercato, lo riconoscerà come: “un grandissimo creativo con un carattere davvero complesso ma che ha dato alla Danese oggetti e prodotti fondamentali per più di una generazione”.
    «Mentre gli altri componenti della zuccheriera li avrebbe stampati una macchina, quel piccolo perno sarebbe stato inserito a mano da un operaio… Disegnare quel perno significava costringere l’operaio a ripetere lo stesso gesto, ossessivamente, mille volte al giorno… Cerco un’alternativa possibile e la trovo, progettando una nuova cerniera, con tanto di brevetto d’invenzione di primo livello».

    da Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., pg.57-58

    1969 - 1970
    Anche qualcosa di semplice come un contenitore per lo zucchero può essere una sfida importante per un designer. La zuccheriera Java, realizzata in melammina bianca, costituita da un cilindro basso con un lato angolare. La funzionalità dell’oggetto si risolve attorno al fulcro “cerniera-maniglia”. Questo assommarsi di funzioni ha reso piu economico l’oggetto, mediante l’eliminazione di passaggi costruttivi. Il coperchio funziona ad incastro e viene aperto con un solo gesto di     pollice e indice. Alla prima versione in pvc segue quella definitiva in melammina.

    Link di riferimento testo :

  • 16. zuccheriera Java, produz. Danese, 1968 (1965 prototipo in PVC), Pubblicato da A. Azzurra Micalizzi a 11/23/2011 06:00:00 PM
  • mercoledì 23 novembre 2011


    E.M. Zuccheriera Java,prod. Danese 1968


    "Nel 1968, Danese manda in produzione la zuccheriera Java, nata tre anni prima come modello artigianale in PVC. Si è deciso di tradurla in oggetto industriale, in melanina stampata per alimenti, con il sogno di mettere a punto uno standard contemporaneo: perfetto e di larghissima diffusione."
    Enzo Mari, 25 modi per piantare un chiodo,ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1°ediz., cap. VI, PAG. 57
    Java Containetor
    Enzo Mari (Italian, born 1932)
    1969-70.
    Melamine, 3 3/4 x 5 5/8" (9.5 x 14.3 cm).
    Manufactured by Bruno Danese, Milan, Italy.
    Zuccheriera/ Formaggiera "Java " in melanina stampata dalle dimensioni di 9,5 x 14,30 cm, del progettista e designer italiano Enzo Mari, realizzata nel 1969-70 e messa in produzione dall'azienda milanese di Bruno Danese.
    Even something as simple as a sugar bowl can be a major challenge for a designer. The Java Container, executed in white melamine, consists of a low cylinder with an angular side. The hollow grip, which is mounted vertically, acts as an ingenious joint for a hinged flat lid. The Java Container is one of the many fascinating designs produced by the Italian designer Enzo Mari for his company Danese.



    Anche qualcosa di semplice come una ciotola per lo zucchero può essere una sfida importante per un designer. Il contenitore Java, eseguito in melaminico bianco, è costituito da un cilindro basso con un lato angolare. L'impugnatura cava, che è montata verticalmente, agisce come una ingegnosa cerniera per un semplice coperchio piatto. Il contenitore Java è uno dei tanti progetti affascinanti prodotti dal designer italiano Enzo Mari per la sua azienda Danese
    Nelle creazioni di Mari tutto è estremamente congiunto, tutto torna in un circuito di creatività dove il bello e l’utile si fondono nella ricerca dello strato più profondo, irriducibile si diceva, della figura semplificata e pura. È puro ciò che è, nulla di più nulla di meno. Una scodella è una forma assoluta; anche la falce.

    La ricerca di Mari è tesa a non dimenticarsi mai di pensare attivamente la struttura, a cercare il punto di rottura dove la sovrastruttura s’infrange lasciando emergere la forma assoluta. Una ricerca controcorrente che si scontra con il mercato stesso per il quale quegli oggetti spesso sono stati realizzati e che cerca, almeno parzialmente, di modificare in modo virtuoso le decisioni degli imprenditori. Per Mari la vita è lotta, l’arte è essenzialità.
    Con le sue affermazioni metodologiche, Mari sottolinea la necessità di un procedere razionale e di una profonda cultura pregressa, in altre parole, ribadisce ancora una volta la supremazia del progetto sull’oggetto. Affrontare un nuovo lavoro significa per lui una sorta di ricerca dell’intrinseca qualità formale dell’oggetto che, per arrivare al risultato finale, implica un ripensamento a tutte le forme passate e a tutte le forme possibili. Si avvia un dispositivo progettuale, un procedere razionale, che consiste nel selezionare, nel depurare, nel sacrificare “un dettaglio superfluo a favore del significato d’insieme”, “nell’eliminare tutto ciò che è inutile e falso” utilizzando come criteri di riferimento le ragioni del progetto e tenendo ben presente che la sua qualità “dipende dal grado di cambiamento culturale che innesca”. Solo in questo modo è possibile ogni volta arrivare all’unica forma possibile, le caratteristiche formali dell’oggetto sembrano emergere quasi spontaneamente attraverso uno spietato processo di progressiva negazione: “una forma è giusta se è (non ha alternative) non è giusta se sembra (le alternative sono infinite)”. Il metodo progettuale di Mari è così radicalmente rigoroso da arrivare, in alcuni casi, a definire il miglior progetto possibile addirittura la negazione totale, ossia non progettare alcun oggetto, a riprova di una posizione anticonsumistica, a volte irrimediabilmente “diseconomica”, come lui stesso afferma.
    da :Enzo Mari (Sette – aprile 2011)
    «Vendo dunque sono»?«Poi c’è un 5% che capisce, ma cinicamente accetta le distorsioni dello stesso mercato: oggetti costruiti per durare solo qualche mese… Non servono a chi li acquista, ma a chi li produce per fare profitto. È legittimo, ma non si riempiano riviste e volumi per dire che questi lavori contengono qualcosa di cui la società ha bisogno».
    Che caratteristiche dovrebbe avere un oggetto di design?
«Io ho sempre messo alla base della mia ricerca la bellezza della forma. E l’idea di standard».
L’idea di standard?
«Oggetti che vadano bene per tutti, anche per chi li fabbrica, e che non passeranno mai di moda». 
    Un suo oggetto che secondo lei ne avrebbe meritato di più?
«La zuccheriera/formaggiera Java. Ha presente come sono fatti i coperchi delle zuccheriere?».
Me lo spieghi lei.
«Spesso sono collegati alla base da una piccola cerniera di ferro. Beh, io progettai Java senza quella cerniera, perché volevo evitare che un operaio che aveva trascorso la giornata a incastrare pezzetti di metallo, si trovasse di fronte a quegli stessi pezzetti anche a casa».


    Da un intervista concessa a Gianni Marcarino per Federmobili (n. 5 del 2002):
    Mari conferma la sua posizione critica verso il marketing e gran parte della produzione industriale attuale.
     Per me il vero design è di chi produce non di chi compra”: Questo pensiero sintetizza un modo chiaro di vedere il design come percorso che parte da una filosofia di fondo del progettista, il quale incontra l’artigiano/industriale produttore disponibile a condividere una strada comune. Nascono così prodotti con un contenuto “ forte”; oggetti che a distanza d’anni mantengono un significato ed un valore non solo economico ma

    anche culturale e sociale.
    E’ la sintesi di quello che è stato, con diverse sfumature, il design di gran parte del ‘900. Un design spesso rivoluzionario nelle premesse sociali, ovvero l
    a produzione d’oggetti al servizio di una società nuova, con le persone, la massa finora esclusa dalla disponibilità dei beni, che possono finalmente utilizzare oggetti belli, utili, dotati di un estetica nuova, slegata dai vecchi stili a dalle consunte abitudini borghesi.Le cose non sono an
    date proprio nella direzione della condivisione popolare verso il design. La società, pur crescendo il livello qualitativo dal “basso”, ha recepito il rinnovamento estetico e di costume proposto, proprio nelle fasce sociali privilegiate (come già con le Arts and Craft di Morris), dotate di maggiori strumenti culturali e, soprattutto, economici; la produzione in mano a piccole aziende non ha consentito economie di scala tali da imporre prezzi popolari (e questo non certamente a causa della distribuzione). Queste condizioni generali hanno portato, come in architettura, il mondo del design verso lo “stile” design, come si trattasse di un qualunque movimento estetico del passato.
    Diverse sono state le reazioni e le posizioni rispetto quest’irrigidimento; l’ingresso del marketing nel design ha significato uno stravolgimento di valori. Le cose viste dal punto di vista del mercato. Non più il designer filosofo e creativo con una propria visione da proporre, ma un interprete dei gusti e delle tendenze che arrivano dal mondo in genere; in fondo solo un buon interprete. L’industria diventa strumento tecnico disponibile a far passare non una propria personale identità, ma quello che il determinato momento richiede.
    Mari vede in questa situazione, la voracità del mercato e del consumismo che bruciano prodotti ed insieme valori. Negli ultimi dieci anni le grandi compagnie di distribuzione commerciale, molte industrie hanno vissuto sulle invenzioni e sugli investimenti in ricerca di poche aziende, copiando i loro prodotti, riducendone la qualità complessiva e inondando il mercato col cosiddetto “ design democratico”. Il marketing ha preteso di dettare le forme partendo dalle esigenze più o meno latenti della gente.
    Proprio per le sue prese di posizione a volte estreme, il rapporto di Enzo Mari con l’industria del design è stato a volte ambiguo e conflittuale. A tal proposito, vale la pena riportare un singolare annuncio, da lui pubblicato a pagamento, apparso qualche anno fa sulle pagine di una famosa rivista internazionale di design: È una richiesta ed insieme un appello all’industria del design, vi si ritrovano in sintesi le condizioni che Mari detta ai suoi potenziali committenti ed alcuni concetti cardine che riguardano nuovamente la sua filosofia progettuale. Egli auspica una piccola rivoluzione produttiva che si opponga alla dittatura del marketing e del mercato. L’impegno nella ricerca del significato della forma è, secondo un ribaltamento mariano di prospettiva, ciò che permette al designer di dare un senso al fare industria. In quest’ottica è nell’interesse di entrambi, designer e imprenditore, garantire qualità e dignità alla progettazione di oggetti.
    Bibliografia Web:

    http://www.pagina.to.it/index.php?method=section&action=zoom&id=1966
    http://collectie.boijmans.nl/popup/save/tms_object/V%20236%20a-b%20(KN&V)/?lang=en&section=collect ie
    http://www.vittoriozincone.it/2011/04/14/enzo-mari-sette-aprile-2011/
    http://www.antithesi.info/testi/testo_2.asp?ID=190
    http://www.welovenature.org/blog/?p=63
    Bibliografia Immagini:
    http://www.moma.org/collection/browse_results.phpcriteria=O%3AAD%3AE%3A3766&page_number=8&template_id=1&sort_order=1
    http://www.pagina.to.it/index.php?method=section&action=zoom&id=1966
    http://www.elle.it/Elle-Decor/Architettura-design-casa/60-anni-di-design-italiano-a-puntate2/1960-05
    http://www.botterweg.com/Auction/Bid/tabid/59/auctionid/11/lotid/3326/language/en-US/Default.aspx
    http://www.educational.rai.it/lezionididesign/oggetti/CONTENITOREJAVA.htm
    http://www.arkidesignblog.it/2009/11/09/enzo-mari-vince-il-japan-design-awards-2009/
    http://www.edilportale.com/eventi/2010/galleria-dell-architettura-bologna/conversazione-su-teoria-ed-etica-del-design-con-enzo-mari-e-rolando-giovannini_7410.html
  • 17. Enzo Mari, Serie della Natura, 1967, Pubblicato da Martina La Manna a 11/23/2011 04:44:00 PM
  • mercoledì 23 novembre 2011

    E.M. Serie della Natura, 1967
    E.M. Serie della Natura
    "Concludo il racconto della mia "fase Danese" parlando di un altro lavoro che giudico importante, la Serie della Natura (1967): una dozzina di grandi stampe serigrafiche con soggetti come "la mela", "l'oca" oppure "la pantera", basati sui disegni che avevo creato nei primi anni Ssessanta per Il Gioco delle Favole. Son il frutto della mia esperienza nel campo dell'Arte programmata, delle belle speranze legate al tema del multiplo d'arte e al loro sostanziale fallimento."
    ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz.Mondadori, Milano, 5° edizione marzo 2011, pag 58


    La serie della natura è il risultato di una ricerca progettuale sull'opera d'arte e la produzione in serie, sulla comunicazione visiva e la componibilità. Nel saggio Funzione della ricerca estetica, Enzo Mari definisce l'opera d'arte il risultato di due momenti inscindibili: la ricerca ed il progetto, che hanno come risultato un manufatto di fruizione estetica.
    Questo può essere divulgato attraverso il mercato, ma il pubblico a cui si rivolge spesso non riesce a cogliere il valore della ricerca che si cela dietro di esso. In questo senso, laSerie della Natura è un ottimo esempio di quella che l'autore definisce "ricerca estetica", ovvero un "processo analitico che tramite esemplificazioni e modelli tende al chiarimento del linguaggio e dei suoi fini". Si tratta di sottoporre il soggetto studiato (e si osservi in particolare gli studi sulla testa d'oca) ad una serie di variazioni, raffronti e analisi che conducono l'artista a sviluppare delle costanti, che a loro volta determinano una struttura archetipo.
    Nella figura: Enzo Mari alcune serigrafie della serie della natura: La Pantera, La Mela, La Pera, Mela e Pera, La Pantera, Il Vulcano, l'Oca
    Mari comincia questa ricerca nel 1957, nello stesso periodo in cui concepiva, sempre per Danese, il Gioco delle Favole. In collaborazione con il fratello Elio, analizza, studia, ricerca la forma archetipo e la migliore tecnica di rappresentazione per La Mela, La Pera, L'Oca, Il Lupo, L'orso, La Pantera, Il Gorilla, e successiovamente La Rana, Il Cephalantus Occidentalis, I Simboli Sinsemantici, Il Vulcano, Il Quadribaleno. Il risultato consiste in stampe serigrafate su fliselina di immagini simboliche, che tramite un linguaggio purissimo e semplice esprimono l'essenza dell'oggetto. Per citare Mari, queste opere rappresentano "la forma naturale con esattezza tipologica che si rifà alla tradizione figurativa spogliata da ogni elemento superfluo" (E.M. Funzione della Ricerca Estetica).

    Nella figura: Enzo Mari: due varianti del Quadribaleno, Serie della Natura 1976
    Il successo incontrato con le prime stampe degli anni 60, lo spingono a continuare questa ricerca, analizzando addirittura idee astratte con l'elaborazione negli anni 70, dei Simboli Sinsemantici , e del Quadribaleno.
    Il risultato di questo progetto, risponde all'esigenza del pubblico, di circondarsi nel suo ambiente quotidiano di immagini, di piccole opere d'arte. Mari riconosce pienamente questa necessità, così come l'importanza di promuovere forme che siano universalmente comprensibili, e fornisce dunque una risposta adeguata al problema della "produzione in serie" dell'arte.
    Martina La Manna
    Bibliografia :
    STEFANO CASCIANI, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano
    ENZO MARI, Funzione della ricerca estetica, Edizioni di Comunità, Milano 1970
    immagini:
    STEFANO CASCIANI, Arte Industriale, gioco oggetto pensiero Danese e la sua produzione, Arcadia edizioni 1988 Milano
  • 17. Enzo Mari e la forma semplice: Serie della natura..ci provo anch’io! Pubblicato da Caterina Chiofalo a 11/26/2011 11:09:00 PM
  • sabato 26 novembre 2011

    Enzo Mari e la forma semplice: Serie della natura..ci provo anch’io!
    La Serie della Natura è un importante lavoro di Enzo Mari reallizzato nel 1967 con l'aiuto del fratello Elio Mari, durante il periodo di collaborazione con l'azienda Danese. Consiste in una dozzina di serigrafie raffiguranti soggetti naturali, tra cui La MelaLa Pera,L'OcaLa PanteraLa RanaIl GorillaI Funghi e diversi altri. Ogni immagine è il frutto di un'accurata «ricerca estetica», un processo analitico che si serve di esemplificazioni e modelli di ciascun soggetto, in modo da individuare quei caratteri che ne costituiscono l'essenza.


    Pur rifacendosi esplicitamente alla tradizione figurativa, Mari semplifica queste riproduzioni rendendole tipi essenziali e reallizzando forme semplici (complesse ma pulite), rimanendo entro la riduzione bidimensionale. Sono immagini tipo di soggetti semplificati e depurati da ogni elemento accidentale e raggiungono una forma durevole, in quanto risultano integrabili variamente da parte del fruitore, mantenendo comunque intatta la propria connotatività.



     "Prendo a esempio il famoso canestro di frutta dipinto da Caravaggio..Se anche fossi stato capace di realizzare un soggetto analogo alla perfezione, il multiplo si sarebbe ridotto a una fotografia. Invece voglio essere coerente con i media del mio tempo , e opto per la serigrafia eseguita a mano senza finiture o segni sovrapposti. Decido anche di rappresentare un solo frutto, ma enorme..Oppure una testa d'oca..La qualità non consiste nel raggruppare molti elementi, ma nella perfezione assoluta di uno solo..Non si tratta di rappresentare un'oca, ma la «oca-nità», la quintessenza di tutte le oche del mondo".ENZO MARI, 25 modi per piantare in chiodo, edizMondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz.

     Nelle immagini a sinistra: Serie della Natura, 1960-72, prog.543; serigrafie su fiselina, colori vari, cm 112x112. Per Danese.
    L'OcaSerie della Natura, n.8, 1967, prog.790; modelli di raffronto.

    Sulla scia di questo modo di analizzare la realtà, anch'io ho voluto cimentarmi in questa «ricerca estetica». Come Enzo Mari, che si procurò alcune teste di oche per studiarle e individuarne i caratteri comuni, ho provato ad analizzare le castagne! Apparentemente mi sembravano tutte uguali, ma osservandole e ridisegnandole mi sono accorta delle differenze di forma, sfumature, dimensioni. Mi sono detta: «Non si tratta di rappresentare una castagna, ma la «castag-nità», la quintessenza di tutte le castagne del mondo».

    Prima fase: osservazione, analisi e ridisegno:
     Seconda fase: acquisizione dei dati al pc ed elaborazione in Photoshop:
    Terza fase: prodotto finale!
    Caterina Chiofalo

    Bibliografia:
    ENZO MARI, Funzione della ricerca estetica, Ed. di Comunità, Milano, 1970, pg. 52-54.
    RENATO PEDIO, Enzo Mari designer, Dedalo Libri, Bari, 1980, pg. 36-41.
    Immagini:
    http://rivieramare.blogspot.com/2010/08/enzo-mari.html
    ENZO MARI, Funzione della ricerca estetica, Ed. di Comunità, Milano, 1970, pg. 53.
    F. BURKHARDT, J. CAPELLA, F. PICCHI, Perchè scrivere un libro su Enzo Mari, Federico Motta editore, Milano, 1997, pg. 73.
  • da: cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: appunti Lezione 4, 1° esercitazione 

  • http://ceciliapolidorideisgnlezioni2.blogspot.com/p/appunti-lezione-4.html

  • appunti Lezione 4, 1° esercitazione



    appunti della lettura e discussione dei testi in bibliografia

    18 novembre 2011 08:30
    Cara Angela, Giulia, Elena, Giusy, Maria Caterina ed Elisa: "gruppetto" di eccellenti allieve,
    vorrei che veniste a presentare il vostro lavoro nella mia prox Lezione, attraverso ovviamente lo scorrere del vostro blog. niente di impegnativo, quattro chiacchiere ciascuna.
    Ho già annunciato a Lezione ieri questa mia intenzione, visto il felice esito, nel vostro e mio caso, del Laboratorio. E' stato quello che ha detto Ottavio Amaro all'esame, ossia che voleva tenersi gli Hand Made Books, a farmici riflettere. 
    Inoltre molti allievi  quest'anno sono quelli dell'anno passato, alcuni addirittura emigrati dal B alla A. 
    Ieri si è svolto un bell'intervento di Daniele Ruggeri, del B dell'anno scorso. solo lui, che ha fatto una comunicaz anche piuttosto impegnativa e vorrei quindi anche equilibrare gli esiti di un lab e dell'altro. In poche parole, non c'è stato solo Daniele o qualcuno del B, ma molti dell'A.
    Spero sia possibile con i vostri impegni.
    Spero troviate e vogliate avere mezz'ora, non di + per parlare ai cuccioli di quest'anno. giovedì 1/XII, come augurio e regalo di natale ai soliti perplessi di questanno. dalle 15.00 alle 15,30, o poco prima e o dopo.
    fatemi sapere, io riporterei qualche vostro HMB, ovviamente..... e anche il porta CD!
    Spero di aver detto abbastanza.
    See you soon
    CP
    22 novembre 2011 20:41
    Buonasera Prof.ssa,
    ho aspettato qualche giorno per risponderLe poiché ho atteso che tutte le colleghe confermassero la loro presenza per l'1 dicembre, consentendomi di confermarLe con un'unica email la nostra partecipazione. La ringraziamo per l'invito. 
    Arrivederci. Cordiali Saluti.
    AL
    disegno di Enzo MARI tratto  dalla presentazione della Mostra Enzo Mari, il lavoro al centro, Triennale Milano 12 XI 1999 - 9 I 2000, 
    ediz. Triennale Notizie, MI  ottobre 1999, pag 5.
    AVVISO 
    giovedì 1/XII, dalle 15.00 alle 15,30
    o poco prima e o dopo.
     dal laboratorio A dell'anno passato, alcuni esiti:

    da: Josep M. Garrofé, Structural Packaging, Spanish Ed edition, November 2005 (trad. it.:  Packaging modelli e applicazioni, ediz. Logos, Modena, 2006, pp. 196-7 e pp. 200-1)
    n. 075
    in merito alle foto da caricare sulla piattaforma: 
    correttamente presentate secondo quanto richiesto, qualità dell'immagine, etc vedi avvisi e siti pilota 1, 2, 3, 4, 5: foto contrastate, fatte alla luce naturale del pomeriggio all'aperto, su sfondo bianco, etc. etc,
    per i prototipi di packaging:
    sono cmq preferibili disegni al tratto, vedi esempio.
    e:
    ça va sans dire: font Georgia
    da: FA - http://www.fontanaarte.it/news.php
    ottobre 2010 
    "Le vetrine d'autunno dello showroom FontanaArte a Milano": " Gli amici di Gio Ponti erano fortunati. Ogni tanto trovavano nella cassetta della posta, non in occasioni particolari, ma come segno di amicizia e affetto, una busta vergata con una scrittura elegante e fluente. E dentro c’era un messaggio, a volte scritto con la solita calligrafia sinuosa, a volte a larghe strisce colorate, oppure solo un disegno. Le sue erano sempre lettere/cartoline “ad personam”. E’ difficile immaginare come questo prodigioso architetto – designer - pittore, fondatore di FontanaArte, imprenditore, editore e uomo di famiglia potesse trovare il tempo di pensarle e in più di disegnarle e scriverle. Questo implica che ogni giorno, ogni tanto, pensava ai suoi amici. E questo affetto lo stimolava a inventare il messaggio che li avrebbe rassicurati, compiaciuti e affascinati".

    Ne abbiamo scelti alcuni, presentati in grande scala, nel nostro showroom di via Santa Margherita 4 a Milano, esposti insieme ad alcune lampade ideate da questo grande artista/architetto 70 anni fa ma sempre attualissime e ancora presenti nelle nostre collezioni: la sospensione 0024, le lampade da tavolo Bilia e Pirellina e la lampada da terra Pirellone.

    FontanaArte Showroom Via Santa Margherita, 4 20121 Milano Orari: martedì/sabato, 10:00/19:00

    da: Caterina Chiofalo, in CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN 2: Enzo Mari e la forma semplice: Serie della natura..ci provo anch’io!



    da: r i v i e r a: Enzo Mari

    da: Corraini, Enzo MARI: CARTE DA DISEGNO: SOGNI E ALTRE COSE, CARTE DA DISEGNO: SOGGETTI E SEQUENZE, CARTE DA DISEGNO: PAESAGGI, etc.
da:CECILIA POLIDORI TWICE DESIGN: serendipity trovando la Terza Dimensione cercando Puccini e Calderòn de la Barca - http://ceciliapolidoritwicedesign.blogspot.com/2011/11/em-puccini-e-calderon-de-la-barca-omero.html

mercoledì 9 novembre 2011


mercoledì 9 novembre 2011

serendipity trovando la Terza Dimensione cercando Puccini e Calderòn de la Barca

"... Finisco per seguire il corso di scenografia, che non amo e non mi sembra all'altezza del mio ideale di Arte con la maiuscola. ... Quel corso m'insegna anche come applicare la prospettiva, tanto che so disegnare prospettive perfette con tre punti di fuga ancora adesso. Ed è importante, perché mi dischiude occasioni di lavoro utili a promuovere le mie capacità." Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, ediz. Mondadori, Milano, marzo 2011, 1° ediz., cap. III, pagg. 24-25

In un primo momento, ho provato a cercare sul web le prime scenografie di Enzo Mari (i progetti di scenografie per due opere di Puccini e Calderòn de la Barca), senza alcun esito. La mia ricerca è continuata in biblioteca, dove mi sono imbattuta in un libro di Enzo Mari (Enzo MARI, Lezioni di disegno. Storie di risme di carta, draghi e struzzi in cattedra, ediz. Rizzoli, 2008) dove il designer utilizza il disegno come linguaggio per spiegare le cose. "Questo linguaggio è anche un pretesto per far ragionare il lettore sull'atto stesso del disegnare e sui processi cognitivi in esso impliciti: sui modi e i tempi della concettualizzazione dello spazio, su come governare e assecondare l'immaginazionevisiva di un oggetto, sulle continue derive e impreviste idiosincrasie della rappresentazione."
Tra le 69 pagine ho scelto queste che trattano della Terza Dimensione, in cui Mari ci insegna ad avere un rapporto con lo spazio e a misurarne le dimensioni, a lavorare con la memoria, ad immaginare le cose in prospettiva e a comprendere il rapporto tra astrazione e misurazione.
Tratto da Enzo MARI, Lezioni di disegno. Storie di risme di carta, draghi e struzzi in cattedra, ediz. Rizzoli, 2008, pagg.30-31-32-33


Da queste pagine ho tratto un altro particolare che è quello delle forme archetipe, di cui Mari ne fa una "super-icona".

La mela e la pera sono oggetti di cui Mari ricerca la grammatica della forma, facendone un prototipo. Il modello iconico risultante racchiude in sé una selezione delle caratteristiche formali che lo rendono rappresentativo, riconoscibile e univocamente identificabile.

Link di riferimento:

Etichette: 

sono inoltre stati citati: 

da: Cecilia Polidori, Il Design Qualunque, ed. Union Printing, Roma 2003 pp. 32-34
"...Enzo Mari in un’intervista: “L’industria mi commissiona una sedia con la promessa di un guadagno se saranno vendute.
Dopo aver passato tre giorni nel tentare di convincere l’imprenditore a fare un altro progetto, non avendo alternative, accetto, e in due giorni disperati consumiamo anche diverse centinaia di fogli.
Io so che esistono 300.000 sedie e ne conosco circa 100 modelli ideali e le 
centinaia di migliaia di copie esistenti in commercio.

Tutte le sedie più semplici non posso farle, perché sono già state fatte e visto che devo firmarla deve essere originale, tenendo conto che molti modelli ipotizzati, anche se razionalmente corretti costituirebbero un fallimento commerciale. Comincio a fare altre verifiche, comincio a pensare alla tecnologia, può essere fatta così, oppure cosà, presso fusa, in legno, in bambù....
Poi immagino diverse fasce d’utenza, per adulti, per bambini, per persone senza una gamba, poi immagino la sedia che progetterebbe Eames, quella che progetterebbe Sottsass, e poi, e poi, e poi m’incavolo e quindi penso ad una sedia di burro, di carta con 10.000 gambe con una punta di cianuro nel mezzo del sedile così appena ci si siede finisce il problema della sedia.
A questo punto la mia riflessione è “sono un imbecille” e ricomincio a riguardare tutto il lavoro fatto, procedendo per negazione eliminando tutto ciò che è inutile e falso.
Quello che resta in piedi dopo 6 mesi di lavoro è il modello prodotto... "








































domenica 16 febbraio 2014

Enzo Mari … sul design

Vincenza ha fatto un lavorone! ha creato sul serio un post: impaginando alcune frasi prese da un video e creando una pagina in un bianco e nero ammiccante, piacevole, irresistibile.
metto questo post nella Bibliografia essenziale, ho dovuto sacrificare l'immagine migliore che però diceva "ENZO MARI - Pensieri sul design", ergo come se l'avesse fatto lui, scritto e pubblicato, invece no! l'ha creato/ideato completamente Vincenza, quindi se trovo il tempo la butto a mia volta su Photoshop e ricavo io la copertina dando a Cesare quel che è di Cesare.
15 post.
cp.
 … ancora oggi il mio problema è capire che cos'è il design, io non so cos'è il design …
 Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”. Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

… Sono sempre convinto che industria e design non possono non tener conto della parola égalité …
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 65, riga 17 - 18. 

 … Io mi pongo <<il problema di concepire il design per una società che non sia opulenta, di instaurare una metologia progettuale che non sia necessariamente il superamento continuo di parametri economici dati>>.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 88, dalla riga 20 alla riga 23. 
  
 … credo che il design abbia significato se comunica conoscenza.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 88, riga 34 - 35.

… il design non vuol dire qualsiasi cosa l’uomo produce … allora come si dice a scuola è la qualità massima ottenibile da una cosa …
  Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”. Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

 … tutto ciò che ci circonda, che sia naturale o artificiale, è forma. 
La forma corrisponde al significato di un oggetto, alla ragione per cui esso viene costruito, e, se è ben fatta, rappresenta la sua più alta qualità. 
Il problema della forma è ricercarne l'essenza.
Video lezione: Intervista ad ENZO MARI: Progettazione e Design.  OILPROJECT beta -ENZO MARI: PROGETTAZIONE E DESIGN

… l’industria è un mostro …
  Video : ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”.  Ultrafradola Channels TV -ENZO MARI SENZA RETE: “ Si produce merda: per il mercato della merda”

… Non sto affermando che l’avvento dell’industria sia stato solo una calamità: al contrario, credo che metà della sua produzione sia positiva, tanto che oggi anche una persona molto povera può comperarsi un’aspirina. 
Ma l’altra metà è infernale, soprattutto per la <<decerebrazione>> che induce in chiunque lavori alla catena, dai semplici operai ai pubblicitari, ai top manager, e così via …
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 67, dalla riga 10 alla  riga 16. 

… La verità è che oggi il progetto è fatto direttamente dall'imprenditore, le cui scelte strategiche riguardano non solo il luogo e la tecnologia di produzione, ma anche gli aspetti formali. Il meccanismo della globalizzazione ha banalizzato a tal punto le ragioni dell’onestà di una forma che per idearla non occorre più nessuna competenza tecnico – espressiva ...
Quando alcune imprese …
… mi invitano a creare oggetti della stessa qualità di quelli storici, in realtà poi non mi concedono la libertà di raggiungere quei risultati. La richiesta ricorrente è che lavori al più basso quoziente d’intelligenza progettuale.
 ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 125, dalla riga 1 alla  riga 13. 

… avevo sempre contestato l’Accademia del design – la Scuola di Ulm – ben prima che diventasse una moda, e che, a giudicare dalle cose stava facendo il suo gruppo, mi sembravano intenzionati a diventare, a loro volta, un’accademia; con la quale non potevo essere d’accordo, perché interpretava il concetto di <<standard>> solo come una costrizione, dettata dalle ragioni industriali, negandone i contenuti etici.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 77, dalla riga 28 alla riga 35.
… la malattia degenerativa del design odierno l’utilizzazione esasperata di alcuni segni, estratti dal catalogo infinito dell’esistente, al solo fine di raggiungere un certo look.
ENZO MARI, 25 Modi per piantare un chiodo. Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag. 56, dalla riga 32 alla riga 35. 





Fonti Iconografiche
immagini rielaborate con Photoshop di Vincenza Triolo. 


12DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Semplicità -  

sabato 1 febbraio 2014


Semplicità

speciale, stupendo, Alessia elargisce. grazie!
utilizzerò in futuro questo post come manifesto. ovviamente va in bibliografia fondamentale... e speriamo di saperlo e poterlo applicare.
cp
Michelangelo coniuga il concetto della creatività e della semplicità con la metafora dello scultore, Bellezza significa "togliere per poi aggiungere". Questo mix di semplicità e creatività lo ritroviamo anche nella sua lista della spesa, tanto semplice quanto d'effetto.

"La semplicità è la forma della vera grandezza."
Francesco De Sanctis

"Il genio è un uomo capace di dire cose profonde in modo semplice."
Charles Bukowski
dal web:  http://www.daimon.org/lib/aforismi/frasi_massime_aforismi_citazioni_semplicit%C3%A0.htm

"La verità profonda, per fare qualunque cosa, per scrivere, per dipingere, sta nella semplicità. La vita è profonda nella sua semplicità. "
Charles BukowskiHollywood, Hollywood!, 1989

"L'ovvio è quello che non si vede mai finché qualcuno non lo esprime con la massima semplicità."
Kahlil GibranSabbia e spuma, 1926

"La perfetta semplicità è inconsapevolmente audace."
George Meredith, La prova di Richard Feverel, 1859

""Pensare semplice" come era solito dire il mio vecchio maestro - significa ridurre l'intero delle sue parti ai minimi termini, tornando indietro ai primi principi."Frank Lloyd Wright
dal web: http://www.frasicelebri.it/argomento/semplicit%C3%A0/?page=2#start-content

La Semplicità - Alda Merini 

La semplicità è mettersi nudi davanti agli altri.
E noi abbiamo tanta difficoltà ad essere veri con gli altri.
Abbiamo timore di essere fraintesi, di apparire fragili,
di finire alla mercè di chi ci sta di fronte.
Non ci esponiamo mai.
Perché ci manca la forza di essere uomini,
quella che ci fa accettare i nostri limiti,
che ce li fa comprendere, dandogli senso e trasformandoli in energia,
in forza appunto.

Io amo la semplicità che si accompagna con l'umiltà.
Mi piacciono i barboni.
Mi piace la gente che sa ascoltare il vento sulla propria pelle,
sentire gli odori delle cose,
catturarne l'anima.
Quelli che hanno la carne a contatto con la carne del mondo.
Perché lì c'è verità, lì c'è dolcezza, lì c'è sensibilità, lì c'è ancora amore.

dal web: http://www.aldamerini.it/component/option,com_kunena/Itemid,96/catid,2/func,view/id,21885/

"semplicità (ant. simplicità) s. f. [dal lat. simplicĭtas -atis, der. di simplex«semplice1»].

1. Qualità di ciò che è semplice: s. di un corpo, di un elemento; se la maggiore e minore velocità possono alterar la semplicità del moto, nessun corpo semplice si muoverà mai di moto semplice (Galilei). [...]

3. Principio di s., principio in base al quale si asserisce che fra due possibilità (per es. due ipotesi per una teoria scientifica), a parità di altre condizioni va assegnata maggiore plausibilità a quella che si può formulare nel modo più semplice; il principio consente, almeno in certi casi, di ordinare diversi enunciati in base alla loro probabilità (si noti che la semplicità della formulazione può dipendere anche dal linguaggio usato)."
dal web : http://www.treccani.it/vocabolario/semplicita/

Sinonimi della parola "semplicità"
"1. naturalità, genuinità, purezza
2. estens. facilità, elementarità, linearità, agevolezza, chiarezza, comprensibilità, accessibilità, evidenza, ovvietà, banalità
3. fig. (di vita, abito, arredo) povertà, essenzialità, sobrietà, misura, regolatezza
4. fig. (di stile) concisione, essenzialità
5. fig. inesperienza, ingenuità, sciocchezza, stoltezza, credulità, sprovvedutezza, dabbenaggine, candore"
dal web: http://dizionari.corriere.it/dizionario_sinonimi_contrari/S/semplicita.shtml


"La parola “semplice” ha in sé almeno quattro significati diversi. Sintetizziamo i vari esempi in punti nodali:
  1. “Semplice” è “facile”.
  2. “Semplice” è “immediatamente comprensibile”.
  3. “Semplice” è “schematico”, “povero di qualità”.
  4. “Semplice” è contrario di “complesso”, cioè “ha poche condizioni per esistere o esser pensabile”.
[...] Facciamo il punto della situazione:
  1. “Semplice” è una proprietà di un oggetto.
  2. “Semplice” non indica nessun oggetto, dunque non è un nome.
  3. “Semplice” è contrario di “complesso” in una logica binaria.
  4. “Semplice” è una proprietà relativa di un insieme di elementi continuo, definito tra due categorie “Semplice” e “Complesso”, in una logica fuzzy.
[...]diciamo che: “Semplice è una proprietà che ha un significato chiaro a partire dal contesto di uso. In tutti i casi, si riferisce ad una maggiore o minore complessità rispetto ad un dato insieme di elementi.” Se applichiamo questa idea a contesti più rigidi che non il linguaggio comune, che non esiste se non nella testa di chi parla, possiamo dire: “semplice è l’entità più elementare di una teoria”. Cioè “semplice è ciò che non consente ulteriori suddivisioni all’interno di un sistema assiomatico qualunque, sia esso una teoria logica o scientifica.”[...]
La definizione di questa parola richiede, come abbiamo mostrato, una collocazione chiara di essa nel contesto d’uso, altrimenti, ha un significato relativo, come quando diciamo che “giocare a pallone è più semplice di giocare a scacchi”, non chiarendo assolutamente nulla della proprietà “semplice” ma dando al lettore l’intuizione che ci sia qualche significato, in realtà, non altro d’una pura vaghezza. E’ “semplice” in una partita di pallone, il pallone, il giocatore di calcio, le linee segnaletiche. E’ “semplice” in una partita a scacchi la singola casella. Ma non si può dire che esista una qualche proprietà assoluta detta “semplice” tanto è che la parola in questione è del tutto priva di significato in contesti non chiari.
A questo punto possiamo giungere ad un’applicazione di tale parola in un contesto più scientifico-filosofico. “Semplice è l’elemento non ulteriormente scomponibile di una teoria” ad esempio, “In geometria, semplice è il punto”. In questo caso, la parola “semplice” si applica al singolo contenuto della scienza in questione. Questa definizione non è relativa alla costruzione formale, ma al suo contenuto, cioè quell’informazione minimale richiesta dalla materia per riuscire a formulare delle asserzioni sensate. Nessuna scienza ragiona senza alcun contenuto possibile, anche la logica parla di “proposizioni”. Una formula di questo genere “a implica b” non ha alcun senso se non sappiamo già che “a” e “b” sono frasi possibili.
[...] Possiamo adesso concludere. In primo luogo, la parola “semplice” non ha alcun senso al di fuori di un contesto. Nelle teorie scientifiche essa ha rilevanza in due sensi:
  1. Il minimo nucleo d’informazione di una teoria è il semplice.
  2. Il numero delle premesse di una teoria indica il grado di “semplicità” di una teoria.
Così abbiamo tenuto conto sia del valore “assoluto” di semplicità che del suo grado di relatività. Solo all’interno di una teoria il “semplice” ha un senso."
Giangiuseppe Pili, "Il semplice: un concetto complesso e non facile", su scuolafilosofica, 21 Novembre 2011dal web : http://www.scuolafilosofica.com/419/il-semplice-un-concetto-complesso-e-non-facile



"Il meno è più (Less is more)."
Mies van der Rohe
dal web: http://aforismi.meglio.it/aforismi-di.htm?n=Ludwig+Mies+van+der+Rohe 

"Tra due spiegazioni, scegli la più chiara. Tra due forme, la più elementare. Tra due parole, la più breve."
Eugenio d'OrsQuando sono tranquillo, 1930

"Di tutte le disposizioni dell'animo, la semplicità è ciò che conduce a una vita felice."
Axel OxenstiernaRiflessioni e massime, 1645

"La semplicità è la principale condizione della bellezza morale."
Lev TolstojDiari, 1847-1910 (postumo, 1928/58)
dal web: http://www.aforismario.it/aforismi-semplicita.htm

“La bellezza è come una gemma preziosa, per la quale la migliore montatura è la più semplice.” Sir Francis Bacon


Zen e l'arte della semplicità al lavoro
"L'ideale estetico Zen denominato Shibumi definisce gli oggetti e le esperienze che risultano belli in maniera diretta, semplice, senza eccessi: la cui caratteristica è l'elegante semplicità, l'efficacia senza sforzo e la suggestiva imperfezione.

Parlando dell'estetica Zen, ciò che rende Shibumi particolare, come potente ideale di design, è la combinazione unica di rara semplicità e impatto sorprendente.
Comporta il raggiungimento del massimo effetto con il minimo sforzo, che in realtà è un esercizio universale utilizzato in molte forme: artisti e designer, infatti, utilizzano lo spazio bianco o 'negativo' per trasmettere potenza visiva; scienziati, matematici e tecnici di ricerca lo usano per le teorie che spiegano i fenomeni altamente complessi in modo incredibilmente semplice.

Ciò che queste varie forme hanno in comune, è proprio la caratteristica principale dello shibumi: l'elemento della sottrazione.
Il pensiero di sottrarre qualcosa al fine di creare valore [...]  è la chiave di volta dello Zen.
La domanda che ne deriva è: come si applica nella realtà questa qualità elusiva?
Cercando la risposta diamo un'occhiata ai principi di progettazione specifici dello Zen, che individuano e sostengono la ricerca dello shibumi e poi, alle loro applicazioni pratiche per le progettazioni di business e lavoro.

1. Koko (austerità)

Steve Jobs, 1982 (image courtesy Elephant Journal)
dal web:
http://chatterbox.typepad.com/portlandarchitecture/meta_media/
Il primo principio è quello denominato Koko, che enfatizza la moderazione, l'esclusione e l'omissione, abbracciando l'idea che 'non aggiungere' è un valido approccio sottrattivo.
C'è una foto illuminante del giovane Steve Jobs (un praticante buddista) scattata intorno al 1982, seduto nel mezzo del salotto della sua casa di Los Altos.
Nella stanza non c'è molto, un sistema audio e una lampada Tiffany. Steve lavora sorseggiando un tè, seduto alla maniera yoga su una stuoia, con pochi libri intorno a lui.
L'immagine spiega più di molte parole la filosofia di progettazione di ogni prodotto Apple realizzato sotto la sua direzione e aiuta anche a spiegare la sua avversione per i pulsanti. [...]

Lezione di design Zen #1: astenersi dall'aggiungere ciò che non è assolutamente necessario.

2. Kanso (semplicità)

Kanso impone che bellezza e utilità non debbano essere eccessivamente caricati, decorativi o fantasiosi preferendo un senso di freschezza, pulizia e ordine.[...]

Lezione di design Zen #2: eliminare ciò che non serve per fare più spazio per ciò che si utilizza.

3. Shizen (naturalità)

Shizen vuole trovare un equilibrio tra l'essere contemporaneamente 'naturale', ma con una propria distinzione, e l'essere visto senza pretese, senza artifici, non forzato, per essere considerato come intenzionale piuttosto che accidentale o casuale.
Quando Ben Hamilton-Baillie esperto di progettazione urbana nel Regno Unito ha elaborato gli "spazi condivisi" nei dintorni di Kensington High Street e Sloane Square a Londra, si è rifatto all'esperienza degli incroci di grande traffico olandesi, a loro volta ispiratisi allo Shizen, che sono stati ridisegnati privi di controlli, seguendo il principio dello spazio condiviso.
In queste intersezioni di spazio condiviso, i cordoli sono stati eliminati, l'asfalto sostituito con mattoni rossi e sono state realizzate fontane, giardini e dehor di caffé.
Quando si arriva a questi incroci, si può solo rallentare per partecipare a questo tipo di interazione usando l'intelligenza.
Il risultato è un ordine organico, naturalmente autogestito che ha ridotto della metà gli incidenti e del doppio il flusso di veicoli. L'unica regola è guidata dal contesto: i soggetti responsabilizzati devono utilizzare la loro testa per controllare la situazione e questa interazione comporta il rispetto per le persone più vulnerabili.

Lezione di design Zen #3: incorporare modelli e ritmi naturali quando si progetta una soluzione.

4. Yugen (sottigliezza, implicazione)

Il principio di Yugen individua il punto di vista Zen secondo cui il potere della suggestione spesso è più forte di quello della manifestazione: lasciare qualcosa all'immaginazione crea un'irresistibile aura di mistero, che lascia a noi lo spazio (e lo stimolo) per trovare risposte convincenti.
La seduzione si trova in ciò che non conosciamo, perché ciò che non conosciamo ci interessa di più di quello che sappiamo, infatti siamo curiosi per natura.[...]

Lezione di design Zen #4: limitare le informazioni e lasciare spazio all'immaginazione e alla curiosità

5. Fukinsei (imperfezione, asimmetria)

L'obiettivo del Fukinsei è di sollecitare la naturale inclinazione umana a cercare la simmetria.
Quasi tutto in natura è simmetrico, si tratta del principio organizzatore predominante dell'universo, la legge fisica dell'equilibrio.
Ma poiché è così prevalente, diamo spesso la simmetria per scontata, fino a quando è presente.[...]
  
Lezione di design Zen #5: lasciare spazio agli altri di co-creare con voi; fornire una piattaforma per l'innovazione aperta."

Matthew May, Zen e l'arte della semplicità al lavoro, su Cultor College, dal web:  dal web : http://www.cultor.org/zen/z.html


11 DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Semplificare, Complicare...Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi - Bruno Munari - 

lunedì 20 gennaio 2014


Semplificare, Complicare...Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi - Bruno Munari

Foto 2- Copertina di "Da cosa nasce cosa"
grazie a Marina! che ha riportato alcune mie citazioni di Munari estendendole e lavorando a questo post, per tutti noi ed anche a mezza giornata dal tema trattato a Lezione.
Ottimo. va ovviamente nella Bibliografia fondamentale.
cp


Foto 1- Bruno Munari
Semplificare vuol dire cercare di risolvere il problema eliminando tutto ciò che non serve alla realizzazione delle funzioni. 
Semplificare vuol dire ridurre i costi, diminuire i tempi di lavorazione, di montaggio, di finitura. 
Vuol dire risolvere i problemi assieme a un’unica soluzione.

Semplificare è un lavoro difficile ed esige molta creatività. Complicare è molto facile, 
basta aggiungere tutto quello che ci viene in mente senza preoccuparsi se i costi vanno oltre i limiti di vendita, 
se ci si mette più tempo a realizzare l’oggetto, e via dicendo. 
Bisogna però dire che il pubblico, in genere, è più propenso a valutare il “tanto lavoro” manuale che ci vuole a realizzare una cosa complicata piuttosto che a riconoscere il “tanto lavoro” mentale che ci vuole per semplificare, dato che poi non si vede. Infatti la gente di fronte a soluzioni estremamente semplici, che magari hanno richiesto lunghi tempi di ricerche e di prove, dice: ma come, è tutto qui? Ma questo lo so fare anch’io!
Quando qualcuno dice
questo lo so fare anch’io
vuol dire che lo sa Rifare
altrimenti lo avrebbe già fatto prima.
Bruno Munari, Da cosa nasce cosa, editori Laterza, Roma, 2005, pag.132, da riga n 1 a n 26.
*
Un concetto opposto alla semplicità e alla moderazione economica, ma anch’esso molto caro a Bruno Munari, è quello dell’eccessivo costo di taluni oggetti, legato al “lusso”, che così definisce:
È la manifestazione dell’importanza che viene data all’esteriorità e rivela la mancanza di interesse per tutto ciò che è elevazione culturale. È il trionfo dell’apparenza sulla sostanza. […] Per esempio a cosa servono rubinetti d’oro? Se da quei rubinetti d’oro esce un’acqua inquinata non è più intelligente, con la stessa spesa mettere un depuratore d’acqua e tenere rubinetti normali? Il lusso è l’uso sbagliato di materiali costosi che non migliora le funzioni. Quindi è stupidaggine. […] Il lusso non è un problema di design.
Bruno Munari, op.cit., pp.11-12
Foto 3- Micheal Thonet e sedia n.14
Immagine 4- disegno esplicativo di Munari
Vediamo quindi un famoso esempio di semplificazione: la sedia n.14 del signor Michael Thonet. Michael Thonet era una falegname intagliatore, nato a Boppard sul Reno nel 1796. Se fosse stato un artigiano ripetitore di forme usate, e non un creativo, sarebbe certamente dimenticato come la grande quantità di artigiani ripetitivi, invece se noi oggi ci occupiamo del suo lavoro vuol dire che era proprio un designer […]. Uno che inventa un nuova tecnica per risolvere i problemi con più semplicità senza dimenticare l’estetica che può nascere da quella tecnica.
Le sedie di quei tempi erano fatte di tanti pezzi di legno, tanti listelli o bastoni messi assieme a incastro o con colle. Ogni pezzo di legno doveva essere lavorato, finito, incastrato, incollato per formare la sedia. C’erano i quattro montanti delle gambe, lo schienale, il sedile, i listelli di rinforzo per tenere assieme le gambe e tutto il resto. Si parla qui di sedie economiche, non di sedie di lusso, intagliate, fatte per la solita élite. Tanto per fare un esempio […] la sedia di Chiavari è fatta con sedici pezzi, è leggera e comoda. La sedia Windsor è fatta con ventitré pezzi ed è piuttosto pesante. La fattura e il montaggio di tutti questi pezzi richiedevano molto lavoro e spreco di materiale. 
Immagine 5- disegno esplicativo di Munari
Michael Thonet pensò che forse si sarebbe potuto inventare una sedia più semplice, fatta senza spreco leggera ed elegante.
Immagine 6 - scomposizione di n.14
Forse esaminando dei mobili di malacca(*) curvata gli venne in mente di provare a curvare dei bastoni a sezione rotonda, di faggio, inzuppati di vapore […] per poi inserirli in uno stampo e seccarli facendo evaporare l’umidità assorbita. In questo modo i bastoni avrebbero conservato le forme volute. […] Thonet pensò che curvando il legno si potevano riunire più funzioni: i piedi posteriori e lo schienale potevano essere un pezzo solo, che non aveva più bisogno di incastri o di colle. Il sedile, invece di farlo quadrato lo fece rotondo in un pezzo solo invece  che in quattro pezzi da incastrare. In questo modo la sua prima sedia fu realizzata in soli sei pezzi e tenuta assieme con solo dieci viti. Era l’anno 1859 quando la sedia nuova, modello 14, si realizzò. Ancora oggi questa sedia viene costruita nello stesso modo e fino a poco tempo fa ne sono state prodotte oltre settanta milioni di esemplari. La sedia così progettata e costruita risultò più economica, più pratica, leggera ed elegante per la coerenza formale del materiale, della tecnologia usata, senza nessuna forzatura decorativa oltre alle forme nate dalla tecnica. Con lo stesso principio progettuale Thonet produsse poi tutta una serie di sedie, sgabelli, poltrone e poltroncine che risultano di una coerenza formale esemplare.
Bruno Munari, op.cit., pp.133-134-136, da riga n 1 a n 26.

(*) malacca s. f. [dalla penisola asiatica della Malacca, nell’Asia merid.]. – Sorta di canna d’India usata per fabbricare bastoni, mani d’ombrello, ecc.

AA.VV., Il grande dizionario Garzanti, Garzanti Editore, Milano, 1988, pag.1096
Quando il progettista è povero di idee spesso usa materiali molto preziosi
Bruno Munari, Verbale scritto, ediz. Corraini, Mantova, 2008
Fonti foto:
1- http://artiseverywhere.serraglia.com/category/%E2%80%A2name/bruno-munari/page/2/
2-http://www.revolutionine.com/2009/09/09/creativita-non-vuol-dire-improvvisazione-senza-metodo/
3- http://www.hidesign.it/it/catalogo/product/show/cid-4992/sedia-stuhl-no14

Fonti immagini:
4 - 5 - Bruno Munari, Da cosa nasce cosa editori Laterza, Roma, 2005, pag. 135
6 - Bruno Munari, op.cit., pag. 137

Marina Arillotta


1o DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Gae Aulenti, architetto designer, donna  - 

venerdì 17 gennaio 2014


Gae Aulenti, architetto designer, donna 

doodle di Google dedicato a Gae Aulenti & Pipistrello
post perfetto! ecco un'allieva che oltre le sue indiscutibili capacità, dimostra di aver letto, osservato e seguito temi, aspetti, linee e modalità del corso.
bravissima! ripeto: post interessantissimo, magistrale, una chiave  e resoconto del lavoro e l'esempio di Gae Aulenti e della nostra storia: ciò che siamo, che potremmo o dovremmo essere, ciò che non riusciamo ad essere. va in DEEPS Design: bibliografia di approfondimento.
inserisco il doodle di Google perché in aula a dicembre l'abbiamo, anzi l'avete ricordato: eravate in grado di riconoscere il riferimento. fu per me un momento di grande gioia e commozione.
cp
Gae Aulenti, architetto designer, donna
Foto 1
"La chiamavo la leonessa. La prima volta era capitato, se non ricordo male, a un convegno o in un' intervista. Qualche giorno dopo mi chiamò a Parigi. Sono la leonessa, mi disse con la sua voce arrochita dal fumo. Ridemmo.”[...]Renzo Piano conobbe Gae Aulenti quando lei era al Politecnico di Milano, assistente di Ernesto Nathan Rogers. "Erano i primi anni Sessanta, io lavoravo già con Franco Albini, ma per la cattedra di Composizione, tenuta da Rogers […].La incontrai allora". Una donna in un mondo maschile. […]  Avete mai lavorato insieme? “No. Il suo stile in architettura non è il mio. Ma la considero comunque una maestra per il suo metodo professionale, per la cura dei materiali, del dettaglio. E poi per la sua presenza civica, per il modo in cui le sue competenze erano al servizio di una causa civile” […] “E poi mancherà la sua presenza civica. Il suo impegno politico, le sue battaglie per una città giusta e pianificata?[…] “Direi che Gae aveva un tratto che andava oltre lo schieramento politico. Era, appunto, civismo. Una virtù poco praticata. Forza ed eleganza insieme. Una vera leonessa.
(Francesco Erbani, Renzo  Piano: hanno provato a farci litigare ma per me lei sarà sempre la leonessa”, la Repubblica, 02 novembre 2012, 38 sez. cultura http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2012/11/02/renzo-piano-hanno-provato-farci-litigare-ma.html )
Gaetana Aulenti, detta Gae,  nasce in provincia di Udine, a Palazzolo della Stella, il 4 dicembre del 1927, da una famiglia di origini meridionali, papà commercialista di origini pugliesi e madre napoletana, Gae Aulenti inizia a frequentare il Liceo artistico di Firenze, ma poi torna al Nord dove studia privatamente. "Prestavo allora dei piccoli servizi alla Resistenza,[…]si fidavano di me e qualche volta portavo fuori dai blocchi le missioni inglesi fingendo di andare in camporella. A Biella ero amica di due sorelle ebree che sparirono da un giorno all'altro. La coscienza civile nacque lì".(Da: Ansa, “Gae Aulenti, le sue opere più famose”, Panorama, 02 Novembre 2012, http://cultura.panorama.it/arte-idee/gae-aulenti-morta-architettura-opere)
“L'architettura è un mestiere da uomini, ma ho sempre fatto finta di nulla". 
Una frase emblematica pronunciata dall'architetto Gae Aulenti,[…] che mostra, la sua ironia, la sua grande umanità e la sua proverbiale timidezza. (Da: Espazium, “In ricordo di Gae Aulenti”, 01 novembre 2012,https://www.espazium.ch/archi/news/ricordo-di-gae-aulenti )
Foto 2
Scomparsa lo scorso novembre 2012 all’età di 84 anni, Gae Aulenti rappresenta una delle figure centrali della ricerca architettonica della storia contemporanea. […]Maestra della linea, la Aulenti si è distinta nel campo dell’allestimento e del restauro architettonico, nell’architettura d’interni, specializzandosi in design industriale, e in campo urbanistico. Allieva diErnesto Nathan Rogers, aveva ereditato pienamente il suo insegnamento, al punto da considerare arredamento e urbanistica come gli estremi dell’attività di un architetto moderno. Non a caso l’attività della ‘Signora dell’Architettura’ ruotava attorno a queste due polarità ,ottenendo riconoscimenti in entrambi i campi, dall’architettura, al design e alla progettazione degli spazi. Alla fine degli anni ’60, l’architetto e designer italiana firmava due negozi, a Parigi Buenos Aires, e cominciava così a far conoscere nel mondo il suo nome e il suo stile, associandolo a una delle aziende più illuminate del tempo, l’Olivetti. Designer di grido, divenne scenografa di Luca Ronconi, costumista per il Wozzeck di Alban Berg alla Scala, musa di Karlheinz Stockhausen e alla fine venne promossa “interior decorator” di casa Agnelli. Severa e rigorosa, maschile nei tratti, i capelli tagliati come quelli dell’Auriga di Delfi, in Francia la chiamavano la “Magicienne des formes”, miscelatrice di simmetrie e asimmetrie.”‘Dal particolare al generale, dal cucchiaio alla città” era il motto del maestro Ernesto Nathan Rogers, e lo fece suo. (Di: Clara Salzano, “La mostra tributo di Gae Aulenti al Triennale Design Museum”, 8 maggio 2013, http://www.fanpage.it/la-mostra-tributo-a-gae-aulenti-al-triennale-design-museum/ )
Dalla matita di Gae Aulenti sono nate opere come il Museo d’Orsay di Parigi

Il museo parigino è famoso per tre motivi: uno perché ospita i maggiori esponenti dell’impressionismo pittorico come Edouard Manet, Paul Cézanne, Paul Gauguin, Claude Monet, Pierre-Auguste Renoir, Edgar Degas, Vincent Van Gogh. Il secondo motivo è perché si trova di fronte al famigerato Louvre. Il terzo perché è stato creato da un architetto italiano, un architetto donna.  (Da: 9colonne, “Gae Aulenti, l’architettura è donna”,http://9colonne.it/adon.pl?act=doc&doc=50458#.UsWs1fTuJ8E  )
Foto 4
Del singolare percorso di Gae Aulenti nella storia del design industriale, rimangono tracce indelebili come la sedia a dondoloSgarsulv  prodotta nel 1962 da Poltronova (foto 4) o il tavolino in vetro con rotelle disegnato nel 1980 per Fontana Arte (foto 5) o ancora la lampada da tavolo Pipistrello per Martinelli Luce (1963, foto 6). Ha lavorato fino all’ultimo e tra i suoi ultimi progetti ci sono quello per l’Istituto Italiano di Cultura a Tokyo (2006), la ristrutturazione e       ampliamento dell’aeroporto San Francesco d’Assisi diPerugia e, recentissimo, il restyling dello storico Palazzo Branciforte, nel cuore del centro storico di Palermo, restaurato e restituito alla città come polo culturale e polifunzionale. 
Foto 5
Foto 6









(Da: Leonardo, “Con Gae Aulenti se ne va un simbolo dell'architettura italiana”,http://www.leonardo.tv/articoli/con-gae-aulenti-se-ne-va-un-simbolo-dellarchitettura-italiana/)
“Bisogna progettare per un senso collettivo, non per una blasfemia individuale”
( Gae Aulenti, da: Alberto Apostoli, “86° Anniversario della nascita di Gae Aulenti” , Il blog di Alberto Apostoli, 04 dicembre2013,http://www.albertoapostoli.com/blog/news/86-anniversario-della-nascita-di-gae-aulenti)
G.L.R. Parliamo di design. Lunedì 3 maggio nello studio del suo amico architetto Emilio Battisti si è parlato di design conAlessandro MendiniAlberto Meda e Enzo Mari […]Il primo ha dichiarato che Oggi il disegno industriale non ha più alcun valore, di parere diverso Meda: Non è vero. L’oggetto industriale riesce ancora ad emozionare. Il più critico è stato Mari: Il design è finito, si è ridotto a quattro carabattole, non siamo capaci di fare più niente, dobbiamo abbassare la testa, lo sguardo e lavorare, dobbiamo lavorare come chi fa i prosciutti in una fabbrica, scendere dal piedistallo ed essere concreti. Lei che cosa pensa del design di oggi?  
G.A. Oggi i giovani lavorano molto, ma lavorano sulle immagini… come le archistar. Fanno tutto in stile. È tutto decorazione, non c’è più il disegno di una lampada o di una sedia prodotta dall’industria. Insomma questo Novembre –Fabio Novembre, designer e architetto nato a Lecce nel 1966 - ha fatto un culo di una donna – sedia Her, 2008 – ha in mente? Ecco allora io gli dico vaffanculo… tu scrivilo, se vuoi. […]Credono di essere furbi… 
 G.L.R. È una provocazione?                                                                                                                      
 G.A. No, è una stupidaggine. Va detto il nome vero di queste cose stupide. Sono stupidaggini.                  
 G.L.R. Come dovrebbe essere il design di oggi?                                                                      
 G.A. Vanno ricercate nuove forme, ma sempre pensando alla produzione, creare per un senso collettivo delle cose, non per un senso di blasfemia individuale…                                                        
G.L.R. E rispetto a quello che hanno dichiarato Meda, Mendini, Mari… lei come si colloca?     
G.A. Mari è un vero studioso e quando dice così protesta per come vanno le cose, però ha ragione. Mendini che è una persona molto intelligente e simpatica, ha sempre tentato di emergere e continuerà a farlo con la sua intelligenza e con le sue capacità.                                
G.L.R. Il disegno industriale esiste ancora?                                                                          
G.A. Non c’è più, ha perso un po’ il senso. Guarda che c’è anche un’altra differenza. Noi per esempio prima eravamo architetti che facevano design, oggi i designer non sono architetti quindi non hanno il senso dello spazio, non hanno un senso… una lampada va disegnata per uno spazio non per se stessa. 
 G.L.R. È importante la multidisciplinarietà?                                                                               
 G.A. È ancora il contesto del design, è ancora una questione di contesto sia fisico, nello spazio, che concettuale.
(Greta La Rocca, “Gae Aulenti -Bisogna progettare per un senso collettivo, non per blasfemia individuale-” , 24 giugno 2010, http://www.immobilia-re.eu/gae-aulenti-bisogna-progettare-per-un-senso-collettivo-delle-cose-non-per-un-senso-di-blasfemia-individuale-2/)
 “La luce è impressionismo”
A. Di cosa dovremmo parlare?
R. Potremmo parlare di luce, di cultura della luce, di luce e architettura di luce nell'architettura; tu lavori come designer e come architetto che rapporto c'è tra le tue lampade e le tue architetture?
A. Mah ...io non ho quasi mai disegnato lampade da sole, le mie lampade sono una conseguenza, io ho sempre disegnato lampade per luoghi specifici, alcune poi sono entrate in produzione...
 R. Non hai mai disegnato senza pensare ad un luogo?
 A. Poco… ho disegnato un sistema per uffici... i "Sistemi Tre", ma tu non la ricorderai, in genere le mie lampade sono legate a situazioni precise, a spazi e tempi di progetti d'architettura....
R. Allora sei una designer un pò casuale, un pò occasionale rispetto agli specialisti della luce, ai tecnologi dell'illuminazione...
A. Sì, anche se però c'è sempre alla base una riflessione sull'uso che comporta una riflessione tecnica, come per questa qui...
R. Quale?
A. Questa qui sul tavolo... si chiama... oddio non mi ricordo.... si chiama Pietra, è una luce che io considero una luce da ufficio,... non è una luce per lavorare, ma una luce per "parlare" intorno ad un tavolo, perché non sempre si lavora leggendo o scrivendo, si lavora molto anche parlando e allora ho pensato a una luce da ufficio per illuminare discretamente un colloquio...
R. Pensi più partendo da situazioni che da prestazioni tecniche o illuminotecniche?
A. Io penso che noi lavoriamo con tre cose: gli spazi, la luce soprattutto diurna, ma anche notturna, e l'architettura; poi c'è la luce come disegno, come strumento di puntualizzazione architettonica e la luce come fatto funzionale integrato come nei musei, dove fa parte della progettazione, non solo del desiderio, ma della necessità.[…]
R. Qual'è la prima lampada che hai disegnato?
A. La "Giova"(foto 7) che è un vaso su una lampada, una pianta sopra una luce, e poi la "Pipistrello" .

Foto 7
R. Che mi sembrano appartenere a due mondi diversi.
A. Perché?
R. La prima è una sovrapposizione di geometrie, tre bolle tutte trasparenti, quasi purista, la Pipistrello è invece quasi espressionista, molto disegnata un po’ neoliberty....
A. Neoliberty...mmh, non direi.
R. Dico neoliberty come rifiuto di linearità e di geometrie fredde, in fondo è una lampada calda con le ali nere un po’ animalesche...[…]
R. Parlando di design di lampade hai detto che è morto "l'abat-jour"...che cosa vuoi dire che non si può fare, non serve più...?
Foto 11
A. No, non è morto, l'abat-jour si può fare bisogna vedere come, perché il fatto è che con il Movimento moderno le luci sono diventate luci più dirette, piene, chiare, non mediate...direi quasi luci tecniche che non sprecano un lux; invece quello che si chiede e si chiedeva all'abat-jour è una luce corretta, mediata che vuol dire proteggerti dalla luce e non tanto moltiplicarla verso una direzione precisa con una funzione precisa. L'unica lampada moderna che si sia posta questo problema è stata quella di Noguchi, quella di carta, quella Giapponese.[…]
R. Vuoi dire che spesso è più utile vedere poco per...
A. Per indovinare molto, per immaginare, se non vedi i limiti di una stanza in penombra la puoi immaginare e sentire molto più grande.
R. Come ti senti rispetto all'evoluzione tecnologica nel campo illuminotecnico[…]?
A. Non mi interessa tanto...voglio dire che l'avanzamento tecnologico ha una sua necessità fondamentale ma non credo che una attenzione preminente a questo mondo faccia automaticamente nascere forme nuove. […]E poi credo che il vero protagonista involontario di questo "avanzamento" tecnologico sia il dimmer...
R. Il dimmer?
A. Sì perché con le nuove tecnologie è tale la quantità di luce che può uscire da queste microlampadine che alla fine è sempre troppa a allora giù coi dimmer per ridurla perché abbaglia è troppo sparata, si vedono le rughe in faccia, non aiuta la concentrazione... e invece il progetto luminoso è un progetto di mediazione, di sottrazione.
R. Quindi vorresti fare lampade che fanno poca luce?
A. Vorrei fare delle lampade che anche se ne fanno un po’ meno vadano bene lo stesso.
R. Come ti muovi tra i due estremi contemporanei del design minimale e di quello espressivo estroverso?
A. Dunque, io cose minimali è molto difficile che ne faccia perchè io non ricerco il minimalismo ma semmai la semplicità che è una cosa molto differente. Voglio dire che non è che con delle forme espressive tu non riesca a raggiungere la semplicità, anzi io credo che questa sia la cosa più difficile e più bella da raggiungere. Il minimalismo non mi interessa e non mi appartiene perchè io ritengo che un oggetto debba parlare forte di un linguaggio possibile per raggiungere il maggior numero di persone...anche se poi ne raggiunge sempre la metà.
R. Però il tuo tavolo di vetro con le ruote è minimale , è quasi un azzeramento di linguaggio, come lo spieghi?
A. Non lo spiego, è un'idea che quasi non ho cercato e stata l'intuizione di un giorno che in fabbrica in Fontana Arte ho visto trasportare le lastre di vetro su dei piani di legno con ruote industriali, e ho pensato che si poteva togliere il legno e c'era un tavolo già fatto, è stato quasi obbligatorio, direi un atto di "non disegno" non un disegno minimale voluto. Infatti non ho mai fatto più niente di simile; perché ho una attitudine più sperimentale legata alle cose, al vedere cosa succede lavorando su materiali diversi , sia vecchi che nuovi... La mia caratteristica è quella di disegnare molto, forse troppo, mentre il minimalismo è concettuale lavora più sulle idee quasi che la materia sia un accidente... […]
R. E la casa?
A. Cosa vuoi sapere?
R. Nella casa nell'ambiente domestico come entra la nuova tecnologia, l'evoluzione illuminotecnica? in fondo la vera rivoluzione nel design l'hanno fatta le lampadine.
A. Non saprei, io continuo a pensare che le nuove lampadine hanno anche deformato il discorso luminoso nelle case trasformandole in uno spazio con tanti punti di luce, che mi ricorda un po’ le processioni, le madonne; tante luci diverse come se per ogni funzione ci debba essere la lampadina, mentre poi sappiamo che una stessa luce cambia a seconda di quello che gli mettiamo attorno. Per esempio io ho sempre odiato quei faretti tecnici americani direzionali, che illuminano per punti invece di diffondere; appunto il contrario di quello che fa l'architettura con la luce. Io sono contro l'abbagliamento e tanto più nella vita quotidiana mi sembra che certe nuove luci hanno trasformato nei salotti la conversazione in un interrogatorio. […]
R. Insomma non bisogna dimenticare la vecchia tapparella?
A. Meglio ancora la persiana, è più semplice, e ricordarsi che di giorno una finestra è una bellissima lampada.
(Da: Franco Raggi, "Architettura e luce mediata. " Colloquio tra Gae Aulenti e Franco Raggi sulla luce in architettura, il neoliberty, i musei, il minimalismo, il teatro e le persiane”,  23 maggio 1991, http://www.apilblog.it/wp-content/uploads/2012/11/Intervista-Gae-Aulenti1.pdf )
Lampada Pipistrello 
L’humus in cui germina la lampada Pipistrello, disegnata da Gae Aulenti nel 1965 per Martinelli, è fervido. Gli anni '50 e '60 per l'esordiente architetto sono densi di esperienze ed iniziative. In realtà poca progettazione architettonica, ancora meno le realizzazioni, ma tante frequentazioni, influssi e collaborazioni e molto industrial design, in particolare nel settore illuminotecnico. […]Lanciata sul mercato nel 1967, la Pipistrello venne commercializzata in tutto il mondo, grazie alla visibilità che ebbe col 1972, quando non solo la Aulenti - che poté presentare oggetti di industrial design ed allestimenti- ma tutto il design italiano  (rappresentato nell'esposizione dai progetti più noti di Zanuso, Sottsass, Pesce, Sapper, Archizoom, ecc..) si affacciò alla ribalta mondiale: il merito fu della mostra Italy: The New Domestic Landscape, tenutasi al MoMA di New York. 
Il progetto della Pipistrello partì in sordina e per un anno rimase nei cassetti di Elio Martinelli. Difficile infatti, secondo i resoconti di Emiliana (la figlia di Elio) risultava l'industrializzazione del fusto telescopico, così come la forma complessa delle falde del diffusore, ad ali di pipistrello, che non era facile realizzare per gli stampaggi dell'epoca
Esemplare nella lampada della Martinelli l'approccio che Gae usava nella progettazione. Mai ‘regolare’ e con l'introduzione ogni volta di linguaggi nuovi, sorprendenti, spesso spaesanti. Nel progetto, dimostra di saper tessere legami sottili con il passato, inserendo nel contempo, elementi di discontinuità.

Il punto di partenza era l'archetipo costituito dal modello delle abat-jours Tiffany (foto 11) e quelle pre-Bauhaus, che però stravolge. Il risultato raggiunto appare stupefacente, perché la linea della lampada esprime una modernità ‘diversa’ ed inaspettata, affatto convenzionale: l’andamento sinuoso, curvilineo, vagamente flamboyant del fusto telescopico e del ‘cappello’, effettivamente non può non ricordare il profilo di alcune lampade liberty. Il risultato, come dicevamo, è qualcosa di mai visto prima; eppure con la Pipistrello, c'è da riconoscere che mai lampada moderna fu più neoliberty.


Recentemente, il designer friulano concordò con la Martinelli alcune variazioni della lampada - divenuta nel frattempo un'icona - con la base in finitura alluminiocromato lucido, satinato e rosso carminio, mentre la sua riprogettazione in scala minore, l'attuale Minipipistrello(foto13) è del tutto estranea all'architetto friulano, che a causa dell'aggravamento delle condizioni di salute, non fu informata. Un'attenzione alla funzionalità della Pipistrello originaria, che si rivela versatile per il suo doppio utilizzo, sia come lampada da appoggio che come lampada da terra e da lettura qualora si fosse sollevato il fusto attraverso il pomello imitante un bulbo ad incandescenza posto sulla sommità del diffusore.
Foto 15
foto 18
Inizialmente era stata pensata da Gae per l'illuminazione di alcuni spazi commerciali trovò ambito e giusto risalto nei negozi della Olivetti di Parigi e di Buenos Aires allestiti proprio da Gae in quegli stessi anni (1965 e '67) e la vediamo sopra gli espositori da lei disegnati accostata ad un'altra lampada, di poco successiva, King Sun di Kartellaltro suo progetto. Infine, da segnalare l'epigono della Pipistrello. Gae progettò nel 1974 per laHarvey Guzzini un modello che presentava una forte continuità col modello di 10 anni prima, la Quadrifoglio (foto 18), della quale mantenne la concezione della struttura in acciaio e diffusore in metacrilato, sempre ripartito in 4 falde. L'estrema fluidità delle forme e l'attenzione ad alcuni dettagli decorativi (l'andamento floreale del fusto sdoppiato in 4 bracci - che per morbidezza di disegno quasi non pare acciaio) ne fanno uno degli oggetti più compiutamente liberty ideati dalla Aulenti. E tra i più amati dal pubblico considerando il successo commerciale che fu duraturo, tanto, che fece propendere l'azienda a declinarla in altre tipologie (terra e sospensione). (Da: Lot, “Classici del design: lampada Pipistrello”, 08 dicembre 2013http://www.arredamento.it/forum/viewtopic.php?f=28&t=113970)
Fonti foto
DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2, 2°: Lampada Eclipse di Vico Magistretti - 

nedì 6 gennaio 2014


Lampada Eclipse di Vico Magistretti

da: Giorgio Dall'Osso, "La luce nera" si tratta di una pubblicazione del Workshop: "Luce architetto dell'ombra", svoltosi a Venezianel  settembre del 2011, Ed.  a cura dell' Università  Iuav di Venezia.

Foto 1 - Eclipse: le tre fasi della luce 
"La lampada di Magistretti disegna, con il suo corpo formato da tre parti di sfera, la scena di un eclissi di sole. La luce scaturisce dal cuore della lampada e cerca di sfuggire al buio che ricopre sempre di più il centro all’avanzare dell’eclissi. É qui che nasce la luce nera, una scena oscurata che mantiene un chia­rore. La luce diventa contorno alla sorgente e ne in­gentilisce i contorni. Il cuore nero della lampada è un attimo, un momento della luce, una tangenza tra due mondi, la luce e il buio. Il tema della luce nera punta su un momento particolare, quando il centro della sorgen­te luminosa diventa il luogo più scuro della scena. Si tratta dunque di scandagliare il significato profondo di questo “momento della luce”. 
Foto 2 - Lampadina nera 
o Lampada di Wood
La fonte luminosa, che irradia l’ambiente circostante come un cuore con le sue arterie, cambia aspetto, diventa un cuore nero che nonostante l’aspetto oscuro continua a portare in sé un’energia irradiante. La luce nera è dunque una scena oscurata che mantiene un proprio chiarore; un attimo in cui si verifica la tangenza tra i mondi della luce e dell’ombra; un nero che ingloba la luce e ne è inglobato a sua volta; uno scambio tra opposti che genera, per un momento, una nuova fase della luce. Nel suo essere momento, la luce nera è incerta e su­blime. Parlando di luce nera è doveroso citare le sue due concretizzazioni più rappresentative, una nel mondo naturale, l’eclissi, l’altra in quello artificiale, la lampadina nera. La prima nata dall'allineamento di pianeti, la seconda, artificio dell’uomo usato nel mondo professionale. 
Per Lampada di Wood o luce nera si intende una sorgente luminosa che emette radiazioni elettromagnetiche prevalentemente nella gamma degli ultravioletti e in misura trascurabile nel campo della luce visibile. [...] Nei luoghi di divertimento le lampade di Wood sono ampiamente usate per creare effetti di fluorescenza su vestiti, occhi e denti" ...
Foto 3 - Eclisse 
"... La parola eclissi deriva dal greco: έκ (ek), preposizione che significa “da” (moto da luogo), e λείπειν, (leipein), che significa “allontanarsi” ovvero “nascondersi”, “render­si invisibile”...


"... È il 1965 quando Vico Magistretti progetta per l’Ar- temide la lampada Eclisse che verrà prodotta dalla stessa casa nel 1967. Sulla lampada, Magistretti afferma di essersi ispirato alle antiche lampade dei ladri e dei minatori dette “lanterne cieche”:

“[...] guardando una cosa che non era mai servita per leggere di notte, ma per rubare, come la lampada dei ladri, quella lanterna cieca, ha fatto venir fuori un’altra lampada che era l’‘eclissi’ insomma [...]”

Lo stesso anno della produzione la lampada vince il prestigioso premio di design “compasso d’oro” e il Museum of Modern Art di New York (MOMA) la anno- vera nella sua collezione di oggetti di design.

Foto 4 - Eclipse,  1965 
La lampada Eclisse è costituita da due parti di sfere (A e C) e da una semisfera (B). Le due parti di sfere costituiscono la parte superiore della lampada, sono concentriche e un perno permette a quella più pic­cola (C) di girare all’interno dell’altra (A) che è invece ancorata all’asse verticale. Le due parti di sfera inglo­bano al loro interno una lampadina di forma sferica ed il supporto cilindrico della stessa. La parte di sfera esterna (A) è idealmente tangente alla semisfera (B) sottostante che funge da base del­la lampada. Al di sotto della semisfera, un cilindro di minima altezza e di diametro di poco inferiore a quello della sfera, fa appoggiare la lampada al piano. Nella calotta inferiore delle due parti di sfere (A e C) è inserita una ghiera di plastica di spessore minimo. La lampada è di dimensioni piuttosto ridotte e presenta un buon rapporto tra le parti, infatti, analizzandola, si scopre che le dimensioni sono state ricavate tramite uno studio della forma basato sul rapporto aureo. La lampada in generale presenta una simmetria totale rispetto all’asse verticale ed orizzontale. Quando la parte di sfera mobile (C) è rivolta con l’incavo verso l’esterno la lampada, sul piano frontale, risulta perfet­tamente simmetrica mentre sul piano laterale il taglio delle sfere superiori rompe la simmetria. Sotto molti aspetti la forma della lampada sottolinea quello che già il nome della stessa aveva palesato, l’eclisse. In particolare la rotazione della sfera interna, più piccola rispetto a quella che l’avvolge, richiama il ruotare delle orbite dei pianeti così come le forme tonde imitano l’ideale dei corpi del sistema solare. In­fine anche la tangenza tra le due porzioni di sfera (A e B) richiamano simbolicamente quello che è l’eclisse, l’avvicinarsi e, immaginariamente, lo sfiorarsi tra due corpi celesti.
Foto 5 - Satellite che s'interpone
tra la  fonte luminosa e l'osservatore
Le parti di sfera che costituiscono la lampada sono in alluminio laccato. Le due semisfere tangenti (A e B) sono dello stesso colore ma vengono vendute in tre diversi toni (arancione, bianco, blu) mentre la se­misfera girevole interna è di colore bianco in ogni mo­dello. Il pezzo che si interpone tra la base e il piano d’appoggio è in plastica nera come anche la ghiera situata nella calotta inferiore della semisfera A; que­sto pezzo è dotato di una profonda zigrinatura sulla superficie. L’elemento predominante della lampada è l’alluminio, metallo estratto dalla terra e che va a costruire, nella scenografia della lampada di Magistretti, i pianeti che si muovono. La semisfera ruotante (C) rappresenta il satellite che si interpone tra la fonte luminosa e l’os­servatore e, come la luna, è bianca. 
Foto 6 - Luce che si
riflette tra le due
porzioni di sfera  
La luce della lampada Eclisse di Vico Magistretti de­riva da una lampadina ad incandescenza, ad essa appartiene perciò un colore caldo, riconducibile al Sole e al focolare. 
Analogamente a quella solare, nel­la lampada Eclisse si possono distinguere le seguenti fasi della luce: una fase aperta in cui la sorgente lu­minosa non è schermata; una fase intermedia e una fase chiusa, quando la lampadina è completamente schermata. i) Nella fase aperta, la luce irradia in parte diretta­mente dalla fonte luminosa, in parte riflessa dall’inter­no della semisfera che ruota. In questa fase la luce, liberata dalla fonte, descrive una parabola dai con­torni netti sulla base. È la luce diretta del giorno che dal sole oltrepassa lo spazio e giunge a scaldare la terra, solo un emisfero però, così nella lampada solo una parte della base viene illuminata, l’altra rimane al buio. ii) Nella fase intermedia, la luna interseca la sua orbita con quella del sole e della terra, la materia si confonde, si mescola, ma è tutta un’illusione di so­vrapposizioni e allineamenti. La luce del sole rimane concentrata in un punto sempre più piccolo che viene divorato lentamente dal buio, mentre un bagliore di luce comincia a circondare la luna. Sulla terra avanza inevitabilmente l’ombra, così come sulla base rimane solamente un piccolo spiraglio di luce. iii) Nella fase chiusa, la luna copre interamente la sagoma del sole. La terra, la base delle lampada, non è più illuminata, la luce non illumina più il mondo ma vuole essere guardata. È il momento dell’eclissi, la luce non nasce più da un cuore di fuoco abbaglian­te, ma da un cuore nero che, nonostante l’aspetto oscuro, continua a portare dentro di sé un’energia ir­radiante. Nella lampada infatti la luce si riflette tra le due por­zioni di sfera che contengono la lampadina, fino a sfuggire dal varco rimasto libero tra le due curvature della materia. Ma non è la stessa luce di prima, è un raggio, più debole, incerto, dolce e meravigliosoLa lampada Eclisse prevede una forte interazione con l’utente che la possiede. Progettandola Vico Magistretti pensò che la calotta interna poteva essere ruotata, modulando la luce a piacimento. Nella prima fase produttiva la lampada non era dotata della ghiera di plastica zigrinata tra le due calotte superiori. Questa aggiunta venne fatta successivamente per evitare che gli utenti si scottassero le dita maneggiando la lampada accesa che, essendo dotata di luce ad incandescenza, ed essendo fatta in alluminio, raggiungeva temperature piuttosto elevate. È interessante infatti questa interazione “scottante” con l’oggetto, che prima ti invita ad allungare la mano per modulare la luce, poi ti punisce con il calore se non hai preso le dovute precauzioni. Così l’oggetto così l’eclisse. Nella storia dell’uomo l’eclisse è un fenomeno che è sempre stato visto come un momento magico, divino, qualcosa che nella sua comparsa presagiva o seguiva qualcosa di importante. L’uomo, al verificarsi dell’eclissi non può che fermarsi a contemplare, nella paura o nello stupore, questo meraviglioso fenomeno che si verifica nel cielo. Un tempo non sapeva cosa si nascondesse in questo evento e l’aura magica che lo circondava era totale. Ma l’uomo, si sa, è curioso, desidera sapere, vuole plasmare la materia e dominarla, costantemente è soggetto alla tentazione di allungare la mano. Ma la natura, dal canto suo, è incontrollabile, troppo forte per essere dominata dall’uomo, e così questi allunga la mano e si scotta. La lampada segnala dunque il desiderio di carpire l’eclissi contro l’impossibilità di farlo. Il desiderio di mutarne la luce contro l’impossibilità di farlo a mani nude. Questo scottarsi aumenta l’interazione della lampada che deve essere impostata nei primi minuti di accensione prima che scotti o maneggiata con cura nei momenti successivi. È dunque dotata di una forte ambiguità. La lampada Eclisse è un oggetto che sottrae la luce alla sorgente, una lampada radicale che sovverte l’ordine della luce creando un momento sospeso tra la luce e l’ombra. Il progetto è stato in previsione di un utilizzo sopra il comodino e si posizione quindi di fianco al letto dell’utilizzatore. La scenografia che rappresenta è quella del conflitto tra luce e ombra e l’attimo che esprime, quello dell’eclisse. È il momento di tangenza tra i due mondi. Il giorno con la luce e la notte con il buio. La giornata dell’uomo è divisa tra giorno e notte, tra attività e riposo, da un breve momento che è quello dell’andare a letto. Questo momento sancisce il contatto tra giorno e notte così come l’eclisse sancisce il contatto tra la luce e il buio. Eclisse è perciò una lampada che accompagna l’uomo nel momento della giornata in cui si corica, un’azione spesso veloce e insignificante ma che l’oggetto sottolinea e rende misteriosa con la sua immagine di cuore nero. L’Eclisse è il punto di contatto tra l’azione nella luce, e il riposo nell’ombra. Un riposo che nasconde dentro di sé ancora una forte energia, ma un’energia che poco a poco si affievolisce".
(Giorgio Dall'Osso, "La luce nera"in: AA. VV., "Luce architetto dell'ombra", Workshop, settembre, 2011, pubblicazione online a cura dell' Università Iuav di Venezia, pp. 4 - 10. webhttp://meri.iuav.it/50/1/PubblicazioneONLINE_Lucearchitettodell'ombra.pdf )

FONTI ICONOGRAFICHE:
Vincenza Triolo
_________________________________________________________________________________

E. M. Cestino Mascarene e Vasi della serie Paros.

Benone! Brava Sara, lo mettiamo in Bibliografia, 25 post. cp

cestino e gettacarte Mascarene
E.M. Cestino Mascarene, produzione Danese 1964

"... quell'idea ne genera un'altra, quella del cestino gettacarte e portacenere Mascarene, del 1964: un'altro tubo con due fori, stavolta in plastica nera, che ha molto successo, al punto di diventare il riferimento per moltissime produzioni concorrenti. Ne trovavi uno in ogni aeroporto e ufficio pubblico o privato. "

ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag 56, dalla riga n 1 alla riga n 6

L'interesse di Enzo Mari a operare nel mondo della produzione si concretizza nel 1958 quando incontra l'imprenditore Bruno Danese. 
Partendo dalla convinzione che "...ogni progetto deve essere utile, avere uno scopo e rendere giustizia ai materiali che usa" (da: Enzo Mari: il Design è design se comunica conoscenza - http://culturatecnica.wordpress.com/2012/11/06/enzo-mari-il-design-e-design-se-comunica-conoscenza/ ), Mari inizia una sperimentazione sui materiali , sulle relative tecniche di produzione e sulla forma. Nel 1961 realizza una decina di vasi da fiori, la serie Camicia, dove "a un tubo in alluminio, che funge da involucro al contenitore in vetro soffiato, vengono applicati dei tagli che consentivano oltre che una varietà formale, anche la possibilità di vedere quella parte della pianta spesso nascosta" (da : Simona Scopelliti, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 164 - http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 ) . Ha subito un grande successo e diventa archetipo di molti progetti futuri. Nel 1964, viene infatti realizzato Mascarene, una evoluzione del progetto del vaso CamiciaOttenuto mediante l'applicazione su un tubo in plastica nera di due fori nella parte centrale, Mascarene, che ha una altezza di 90 cm e un diametro di 25 cmrisponde con un unico oggetto a una duplice funzione : cestino, grazie alla presenza dei due fori sulla superficie verticale, e portacenere grazie alla rientranza presente sulla sommità. Semplice nella forma, ma di grande effetto e utilità ha una diffusione e un successo immediato. "... Partecipe della grande utopia dello standard come fattore di uguaglianza... " (da : Antonio D'Avossa, Francesca Picchi , " Enzo Mari , il lavoro al centro " , Ediz. Electa , Milano , 1999 , pag. 45 )Mascarene, grazie al costo contenuto è un oggetto accessibile a tutti, anche alla gente comune, fino ad allora esclusa da un'arte ritenuta elitaria.

Da un'intervista fatta a Enzo Mari da Vittorio Zincone : 

Che caratteristiche dovrebbe avere un oggetto di design?
«Io ho sempre messo alla base della mia ricerca la bellezza della forma. E l’idea di standard».

L’idea di standard?
«Oggetti che vadano bene per tutti, anche per chi li fabbrica, e che non passeranno mai di moda».
da : Vittorio Zincone, Enzo Mari , in Sette, ediz. 15 , 2011  http://www.vittoriozincone.it/2011/04/14/enzo-mari-sette-aprile-2011/



E.M. Vasi della serie Paros, produzione Danese 1964

Vasi della serie Paros
Nei primi anni Sessanta avevo già provato a studiare come le macchine, se utilizzate correttamente, possano produrre una certa ricchezza formale. Mi ero cimentato, per esempio, con l'artigianato del marmo, che nelle botteghe dell'Apuane si scolpiva ancora in modo tradizionale, traendone piccole sculture decorative classicheggianti. Usando delle seghe circolari per tagliare in modo semplice, ma perfettamente studiato, i cilindri di materiale semilavorato, avevo messo a punto le mie Nuove proposte per la lavorazione a mano del marmo. Vasi della serie Paros (1964), prodotti ancora oggi. Tuttavia, era un'operazione in cui un progettista definiva una forma e un operaio la realizzava. "

ENZO MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Ediz. Mondadori, Milano, 2011, pag 85, dalla riga n 1 alla riga n 13.

L'utilizzo di macchine moderne, usate al posto di tecniche artigiane tradizionali,viene sperimentato da Enzo Mari non solo sui materiali industriali, come la plastica o il ferro, ma anche sui materiali tradizionali. " si tratta di un tentativo di profonda innovazione, messo in campo provocatoriamente a partire dalle essenze materiche maggiormente caratterizzate dal prevalere di una tradizione artigianale “in stile” ". (da : Davide Turrini, Opera e serie in Enzo Mari. Progetto e produzione tra arte, industria e artigianato, http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm )  I Vasi della serie Paros, "ottenuti sfruttando in modo diretto le possibilità operative delle macchine più moderne per la lavorazione della pietra, [...]  individuando una nuova fisionomia del prodotto litico, originale e riconoscibile, fatta di forme cilindriche cave, troncate o articolate da asportazioni di materia verticali, orizzontali o diagonali." (da : Davide Turrini , op.cit ) Essi sono la dimostrazione di come attraverso l'uso di macchine si possa raggiungere un valore espressivo ritenuto da sempre patrimonio esclusivo dell'artigianato.


Domus vol.5 1960-1964
In un saggio di Pier Carlo Santini, Enzo Mari afferma : "Un contatto col marmo può esserci solo utilizzando questo materiale in maniera, torno a dire, funzionale [...] la scultura (intendendo il manufatto da collezionista) non ha più alcun senso [...] In un momento di estrema confusione culturale come il nostro, occorre essere molto attenti nei riguardi di interventi per così dire artistico-artigianali giacché questi si prestano ad ambigue mistificazioni di linguaggio. Trattandosi poi di lavorazioni costosissime, se fatte come si deve, finiscono con l’essere apprezzate solo da chi spende il denaro per esibire uno status di prestigio e di potere [...] suo impiego solo quando è funzionalmente necessario (a prezzi competitivi con materiali che diano lo stesso risultato) ". (da : Davide Turrini, Artigianato e industria del marmo secondo Enzo Mari, http://www.architetturadipietra.it/wp/?p=5137 Secondo Mari il marmo deve essere apprezzato per le sue caratteristiche di aspetto, resistenza e durata e non per un ingiustificato valore di pregio connesso al lavoro manuale che porta quindi a un aumento eccessivo del costo dell'opera. 

Domus presentando la ricerca scriveva : "Una ricerca di grande interesse è quella che Mari sta compiendo, sulla lavorazione del marmo e del vetro, e che appare esemplificata negli oggetti ‘di serie’ (vasi, ciotole) da lui progettati per Danese a Milano. Nella produzione di serie è possibile ottenere forme plasticamente complesse solo con stampi ricavati da modelli eseguiti a mano. Per la lavorazione di certi materiali della tradizione classica, quali il marmo, non è possibile lo stampaggio e si è comunque persa la memoria di una corretta produzione artigianale. Queste ricerche sono nate dalla necessità di trovare nuovi metodi di progettazione che permettano la produzione in serie di oggetti di marmo plasticamente complessi, utilizzando le tecniche e gli strumenti industriali. Data la durezza del materiale, Mari ha cercato di ottenere la massima ricchezza formale limitando al minimo i passaggi dalle macchine utensili e, sempre scartando gli interventi manuali”  (da : Simona Scopelliti , op. cit. , pag 164 )

Sara Mazzeo.
____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

post impegnativo e notevole. va in Bibliografia.
15 post. cp
Ettore Sottsass: Dioniso tra design e architettura

“Per me, il design è un modo di discutere la vita. È un modo di discutere la società, la politica, l’erotismo, il cibo e persino il design. Infine, è un modo di costruire, una possibile utopia figurativa o di costruire una metafora della vita. Certo, per me il design non è limitato dalla necessità di dare più o meno forma a uno stupido prodotto destinato a un’industria più o meno sofisticata; per cui, se devi insegnare qualcosa sul design, devi insegnare prima di tutto qualcosa sulla vita e devi insistere anche spiegando che la tecnologia è una delle metafore della vita” (Lhttp://www.designerblog.it/post/1996/ettore-sottsass-jr)
“Se qualcosa ci salverà, sarà la bellezza”  (Fëdor Michajlovič Dostoevskij, L'idiota, 1869)   (*) Ettore Sottsass sottolinea come esista una netta differenza tra design e industrial design.
Ettore Sottsass: "Mi ha detto Liana che lei è laureando in architettura, ma non ricordo bene qual è il suo argomento di tesi: l’architettura o il design?"
Diego Grandi: "Diciamo che è più pertinente al design. La mia tesi sviluppa un ipotetico rapporto tra la letteratura e il design."
ES: "Ma quando parla di design si riferisce al disegno industriale o al disegno di cose che non necessariamente ci saranno o sono previste per una produzione di massa? Perché c’è una grande differenza che sarebbe ora sottolineare. In questo momento mi sembra che ci sia un grande revival del disegno, non solo del design. (da: Diego Grandi a cura di Mario Piazza, Mia Pizzi http://www.abitare.it/it/design/ettore-sottsass-sorprese-per-cui-devo-cominciare-a-pensare/)
Sottsass in una conversazione cita Dioniso. 
Dionisio è il Mediterraneo
Era l'antica divinità greca del vino e dell'ebbrezza, definita dallo stesso Sottsass "feroce, felice, ubriaca, sessualmente attiva(Ettore Sottsass, tratto da una conversazione e tavola rotonda in: "Nel mondo degli oggetti/ In the World of Objects", Domus, n. 869, Milano, aprile 2004, pp. 22-37, citato e trascritto in: Cecilia POLIDORI, "Ettore Sottsass/qualche annotazione sul designer", Dispensa Lezione 5, 15 dicembre 2011). 
GIOVANI DI BACCO - dipinto di William-Adolphe Bouguereau (1825-1905), eseguito nel 1884.
Sarcofago con tiaso dionisiaco, III sec. d.C., New York, Metropolitan Museum

Famose nell'arcaicità greca erano le dionisiache; le antiche feste in onore della divinità. Durante le dionisiache si riproduceva il furore, l'invasamento divino, ci si travestiva seguendo le antiche rappresentazioni del Tiaso (corteo di Dioniso caratterizzato da satiri e menadi) ballando e dilaniando carni di animali. Ebbrezza e la follia erano l’ispirazione data dalla divinità. Dionisio diviene quindi metafora di caos e irrazionalità.
Afferma Sottssas che un designer non può non conoscere chi sia Dioniso: quel lato che ognuno di noi possiede ed a cui si rifà quando progetta. Dionisio è fonte stessa d'ispirazione.
Dioniso è un "catalogo esistenziale" (Ettore Sottsass, op.cit.)è un compendio di "profumi, colori, vegetazione speciale e antichi fantasmi..." (E. Sottsass   op.cit.).
Quando si progetta  diviene fonte d'ispirazione.
Per Sottsass Dioniso è il Mediterraneo,
 luoghi fisici, sapori, oggetti intrisi di un "alto senso di sacralità"(E. Sottsass, op.cit.);  gli oggetti della vita quotidiana diventano in mano a ciascuno strumento di un "rito esistenziale"(E. Sottsass, op.cit.): 
Bicchiere di cristallo
"Bere acqua in un bicchiere di carta oleata sull'autostrada e berla in un bicchiere di cristallo sono gesti diversi. Nel primo caso, mentre bevi, quasi ti dimentichi di esistere..." e dimostrando così quanto un medesimo gesto e  funzione conducano a differenti gradi di consapevolezza di ciò che si sta compiendo.
Sottsass termina l'intervista affermando come solo cogliendo tali differenze si arriva alla consapevolezza non dell'industrial design ma del design
Sottsass non è solo un designer e non ama definirsi artista, è un architetto e così egli discute sul tema: 


Pianta tipo di un tempio greco
“…l'architettura deve essere misurata sul corpo umano". Per questo non gli piacciono i grattacieli che, dice "sono edilizia, non architettura. E questa è una distinzione cui tengo molto. Sono tutti uguali, in qualunque parte del mondo. Per me l'architetto è chi tiene conto dei percorsi, dell'orientamento, 
Esempi di organizzazione di templi indiani
dell'uso delle stanze. È come nei grandi templi, da quelli indiani a quelli di Paestum, dove era massima questa cura tra l'uso dell'interno e dell'esterno. Il tempio è la casa di Dio, deve comunicare intensità".  A quale dio si riferisce? 
"Esiste l'ignoto, la sacralità. L'ignoto è infinitamente più sofisticato di Dio".  L'ignoto che può diventare bellezza, perché, come Sottsass ha detto più volte, se qualcosa ci salverà sarà proprio la bellezza.    (*) "La  frase, tra l'altro molto bella, non è mia. È tratta dall'Idiota di Fëdor Dostoevskij e ai tempi del principe Mishkin la bellezza era considerata un'apparizione rara, rarissima. Quasi più divina che umana. Oggi penso piuttosto che sia una convenzione tra gruppi di persone, tribù o nazioni che hanno avuto nel tempo storie culturali  comuni. Sono loro che nei tempi lunghi hanno deciso che cosa è la bellezza".(da: Terry Marocco, Parla Sottsass: La situazione degli architetti non è buonahttp://societa.panorama.it/Parla-Sottsass-La-situazione-degli-architetti-non-e-buona)
Da quello che ho potuto vedere su internet riguardo ad alcune opere di design, Sottsass ha sempre presente quella componente architettonica che rende quasi, senza un apposito riferimento metrico, l'oggetto di design, architettura allo stato puro. Degli esempi potrebbero essere:
Schizzo per la Superbox, E. Sottsass, 1966
Zita Box, E. Sottsass, prodotto da Serafino Zani,
2004




















Andrea Menguzzato
____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: Bruno Munari, Enzo Mari e l'Arte Programmata
Bruno Munari, Enzo Mari e l'Arte Programmata
Enzo Mari, Timor, 1957

Bruno Munari aveva progettato delle Macchine inutili già negli anni Trenta, annunciando, senza alcuna pretesa di autoreferenzialità, con intuizioni che verranno fatte proprie, successivamente da Tinguely, una strada concettuale e tecnologica per l’arte.
MANIFESTO DEL MACCHINISMO
Il mondo, oggi, è delle macchine.
Noi viviamo in mezzo alle macchine, esse ci aiutano a fare ogni cosa, a lavorare e a svagarsi. Ma cosa sappiamo noi dei loro umori, della loro natura, dei loro difetti animali, se non attraverso cognizioni tecniche, aride e pedanti?Le macchine si moltiplicano più rapidamente degli uomini, quasi come gli insetti più prolifici; già ci costringono ad occuparci di loro, a perdere molto tempo per le loro cure, ci hanno viziati, dobbiamo tenerle pulite, dar loro da mangiare e da riposare, visitarle continuamente, non far loro mancar nulla. Fra pochi anni saremo i loro piccoli schiavi.
Non più colori a olio ma fiamma ossidrica, reagenti chimici, cromature, ruggine, colorazioni anodiche, alterazioni termiche.
Non più tela e telaio ma metalli, materie plastiche, gomme e resine sintetiche.
Forme, colori, movimenti, rumori del mondo meccanico non più visti dal di fuori e rifatti a freddo, ma composti armonicamente.
La macchina di oggi è un mostro!
La macchina deve diventare un'opera d'arte!
Noi scopriremo l'arte delle macchine!
Bruno Munari, 1938
Jean Tinguely foto di RENE' BURRI da http://fondazionemerz.org/mostre-esposizioni/prossime-mostre/
E' il 1960 quando a Parigi, con l'intenzione di trovare "nuovi approcci percettivi al reale", Jean Tinguely sottoscrive ilManifesto del Neorealismo. Il riferimento all'opera di Bruno Munari appare chiaro... 

Jean Tinguely, Trottinette, 1960 da MUSEUM TINGUELY  http://www.tinguely.ch/de/museum_sammlung/jean_tinguely.html

 Jean Tinguely, Eureka, 1964 da MUSEUM TINGUELY http://www.tinguely.ch/de/museum_sammlung/jean_tinguely.html
 Jean Tinguely, Dissecting Machine, 1965 da SIKART http://www.sikart.ch/KuenstlerInnen.aspx?id=4022334
Bruno Munari, Negativi Positivi
Poi, sempre Munari aveva inventato i Negativi-positivi e i Polariscop, oggetti cinetici luminosi a luce polarizzata, che, nei primi anni Cinquanta probabilmente segnavano i primi esperimenti di Arte Programmata, senza nemmeno che di questa fosse stata ancora riconosciuta la nascita. 



Al 1949 risale questo commento di Gillo Dorfles: «Munari ha sempre cercato di sviluppare nelle sue opere […] l’elemento metaforico: ha cercato di fissare il divenire nel momento, di porre un argine alla durata delle forme nello spazio, dei colori sulla tela, delle linee di forza nei loro impreveduti tragitti. Da questa sua ricerca sono nate quelle creature aeree – leggere bacchette sospese a fili aerei – che un soffio mette in moto e dispone in mutevoli rapporti spaziali».
Gillo DORFLES, Presentazione del catalogo Mostra di macchine inutili e pitture di Bruno Munari, "Bruno Munari", Mostra, Milano 1949, ed. a cura della Libreria Salto
http://www.munart.org/doc/bruno-munari-g-dorfles-1949.pdf
"Enzo Mari ha significato, proprio nella sua esperienza solitaria, il massimo di collettivismo, il massimo di radicalismo, il massimo di ideologia, ma anche di rigore operativo, probabilmente di tutta l’esperienza dell’Arte Cinetica e Programmata.
Che in lui ha conosciuto un antesignano, un annunciatore e uno stimolo al tempo stesso (soprattutto con le ricerche programmate sullo spazio della metà degli anni Cinquanta), più che un partecipante; poiché, infatti, la sua ricerca, che non lasciava margini per opzioni aleatorie, che non era sollecitata dalla casualità e dalla variabilità, si andò Dimostrando più prossima alla poetica costruttivista che a quella dell’Arte Programmata."
Di cui pure abbracciava in toto le aspettative per un’arte educativa, tecnologicamente avanzata, progettualmente determinata, dunque misurabile, ma che per Mari, come già intuiva Max Bill, non poteva concedersi alcuna digressione sul piano della ricognizione formale e della virtualità percettiva: "L’arte concreta, in origine, è caratterizzata dalla struttura. La struttura dalla composizione nell’idea […]. E le leggi della struttura sono: l’allineamento; il ritmo; la progressione; la polarità; la regolarità; la logica dello svolgimento […]. Così anche Enzo Mari. Le sue strutture stanno nel punto d’incontro fra pittura e plastica. Lo spazio predomina sul colore. Gli elementi delle sue opere sono: identiche dimensioni e loro progressiva trasformazione, tridimensionalità nella costruzione, ingrandimento della superficie fino al quintuplo mediante lamelle poggiate verticalmente, in conseguenza di ciò mutazione dell’immagine del quadro a seconda del punto di vista di chi osserva e del suo movimento nello spazio. Questo si riferisce a quei rilievi di gruppi di quadrati del 1956-57. Tutti colorati tra il nero e il bianco […]" 
Max BILL, in Max Bill e Bruno Munari, Enzo Mari, Muggiani Editore, Milano 1959

Enzo Mari, Serigrafia su legno, 1958 da NEURA MAGAZINE http://www.neuramagazine.com/quarantanni-darte-corraini/
"Per rendere più lineari i risultati delle mie ricerche, ne organizzo in modo sistematico le fasi: il concetto di programma diventa prima l’asse portante, poi l’obiettivo finale del mio lavoro .Sto parlando di quel tipo d’indagini che vanno sotto il nome di Arte Programmata" Enzo MARI, 25 modi per piantare un chiodo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 2011, pag.41   
Enzo Mari, nove oggetti per la produzione Danese, 1960-69. Dall’alto: vasi Fitomorfici; vaso Camicia; portaghiaccio Antille; vassoio Arran; doppio vaso Pago Pago; portafrutta Adal; caraffa Trinidad; contenitore da tavola Java; ciotole Tongareva da MD Post-it http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
Enzo Mari, Libreria componibile Glifo, dettagli del giunto (a sinistra) e scorcio di una composizione dei moduli in plastica stampati ad iniezione, 1966-68. Produzione Gavina da MD Post-ithttp://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
Enzo Mari, Proposta per la lavorazione a mano della porcellana, serie Samos, 1973.
per Mari l’opera d’arte era il modello o il prodotto di una ricerca che si basava su una precisa metodologia di lavoro, consistente in una costante progettazione. Si trattava, dunque, di un modo quasi scientifico di intendere l’arte, non più esito di un moto romantico dello spirito saturnino, ma esito o mezzo di una ricerca che per metodologia si avvicinava molto alla progettazione architettonica o di design.”
Simona SCOPELLITI, Il design degli anni Sessanta e Settanta : un nuovo modo di intendere l'utenza, tra progetti di utopia radicale e impegno sociale , pag. 149 -http://dspace.unive.it/bitstream/handle/10579/1711/825991-126302.pdf?sequence=2 

Enzo Mari, Cilindro P, multiplo in resina poliestere, 1959-63. Edizioni Danese
da MD Post-it http://www.materialdesign.it/it/post-it/opera-e-serie-di-enzo-mari-progetto-e-produzione-tra-arte-industria-e-artigianato-_13_421.htm
A Padova nel 1959, si costituisce il Gruppo N
(Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi),

a Milano nel 1959 il
 Gruppo T (Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo, Gabriele Devecchi, Grazia Varisco).

Con questi gruppi Mari nel 1963 avrebbe firmato il manifesto dell’Arte Programmata: Arte e libertà, impegno ideologico nelle correnti artistiche contemporanee, dove si criticava l’idea romantica di arte come espressione isolata della soggettività dell’artista e si proponeva di contro un’arte oggettiva concepita per la collettività e comprensibile da tutti“La ricerca, concretata attraverso tutte le possibilità della comunicazione visiva (oggetti, film, opere grafiche ecc.) deve essere proposta attraverso i mezzi specifici (percezione visiva) usati con la massima economia (regole gestalt-psicologiche) per stabilire con lo spettatore un contatto, che sia ilmeno possibile affidato ad ambiguità interpretative individuali (cultura, umore, contingenze geografiche, gusti)”.
AAVV, Arte e libertà, impegno ideologico nelle correnti artistiche contemporanee, in "Il Verri" n.12-1963, Feltrinelli Editore, Milano 1963. 

"In quella sede, inoltre, veniva esplicitato il ruolo dell’opera d’arte che aveva il compito di attivare la coscienza critica e contribuire all’azione rivoluzionaria. Seguiva una criticadell’idea di cultura della società contemporanea, in cui questa veniva sfruttata e strumentalizzata secondo le finalità dei gruppi di potere. Per porre fine alla distorsione capitalistica dell’arte, veniva, inoltre, proposto che si conducesse sui fenomeni estetici una verifica sistematica di tipo scientifico, in cui ogni singolo approfondimento sarebbe stato svolto come un’azione di gruppo che avrebbe portato a risultati senza firma". (Simona SCOPELLITI, Op. cit. , pag. 150.)
Dal 1962 il consolidamento delle ricerche determina il proliferare di mostre e Gallerie e Musei che si occupano del movimento divengono nel periodo delle esposizioni dei veri e propri cenacoli, offrendo nello stesso tempo l’opportunità di mostrare i risultati via via raggiunti e di confrontare esperienze di metodi e lavoro.
Gli episodi più importanti dell’anno sono le mostre di Enzo Mari e di Getulio Alviani a Zagabria, Galerija Suvremene Umjetnosti, l’esposizione del GRAV a Padova presso lo Studio Enne e la mostra “Arte programmata” allestita nel Negozio Olivetti di Milano da Munari e Giorgio Soavi.

«A me pare che già ci si trovi nei pressi dell’annuncio della nuova grande avventura!
A parte le formidabili anticipazioni di Munari, comunque, l’Italia fu davvero decisiva per il sorgere e ancor più per lo svilupparsi di questo movimento.
Se Parigi fu infatti il quartier generale e il centro di irradiazione e diffusione del verbo programmatico e cinetico, l’Italia ne fu il vero laboratorio, l’officina inesausta e brulicante di operatori affamati di tecnologia, modernità, e di progettualità al confine fra utopia, sogno e scienza. Oltretutto il termine “Programmata” nacque proprio in Italia, con la felice intuizione lessicale di Umberto Eco, in occasione della ormai celeberrima mostra al Negozio Olivetti di Milano, nel 1962, cui seguirono le esposizioni sempre della Olivetti, a Venezia e a Trieste.»
Giovanni GRANZOTTO, Arte Programmata e Cinetica: origini, successo, declino e rinascita, in AAVV, “Percezione e Illusione” arte programmata e cinetica italiana, Mostra, Buenos Aires 2013, ed. Il Cigno GG, Roma 2012 pag. 15 - http://www.studioartegr.com/images/mostre/Progetto%20definitivo.pdf
http://www.youtube.com/watch?v=8gTuxD4iK6U
  Bruno Munari, Colonna a 9 sfere, 1962
Alberto Biasi, Interferenza Dinamica, 1961 
da FLAMINIO GUALDONI http://flaminiogualdoni.com/?p=10123

 Ennio Chiggio, Bispazio Instabile, 1962 da FLAMINIO GUALDONI http://flaminiogualdoni.com/?p=10123
 


 Manfredo Massironi,
Tony Costa, Visione Dinamica, 1962 da AT CASA http://atcasa.corriere.it/Biennale-Architettura-2012/In-citta/2012/08/31/olivetti-arte-programmata-munari-scarpa_11.shtml 

"Il movimento dell’arte programmata approfondisce ed accentua (...), non tanto la problematica ‘ingegneristica’ e ‘architettonica’ della creatività, quanto l’aspetto ‘etico’ complessivo dell’arte, del suo farsi, del suo organizzarsi, del suo diffondersi; in questo senso esso rappresenta un momento storico comunque nodale, poichè l’operazione creativa viene definitivamente a perdere ogni componente spiritualistica che, nonostante tutto, aveva caratterizzato quasi tutte le avanguardie storiche e perciò conquistando una precisa configurazione laica, antiromantica ed antimetafisica: all’intrecciarsi delle due forze vitali della cultura profonda delle avanguardie, lo spiritualismo e il materialismo, questo momento storico sostituirà il coniugarsi di razionalismo scientifico e di ideologia politica, compensando la perdita consequenziale del ‘poetico’, dell’universale interiore, con una diffusione universale dell’arte, con una ostentazione dimostrativa dei meccanismi più segreti della invenzione creativa, con la fissazione dei linguaggi formali su codici linguistici ossessivamente minimali e geometrici. 
Proprio per ciò il movimento dell’arte ‘programmata’ tende ineluttabilmente a confrontarsi con l’ ’arte progettata’, con l’arte cioè realmente ‘costruttiva’, progettuale ed architettonica." (Ernesto L. FRANCALANCI, Note su alcuni materiali teorici dalle avanguardie storiche agli anni ’60, "Lea Vergine, L’ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica 1953/1963", Mostra, Milano 1983, ed. Mazzotta).

Ispirandosi all'Arte Programmata, anzi acquisendone la ricerca, lo spirito e i principali esponenti, con fondamentale interesse per i fenomeni percettivi e cinetici, nasce negli States, in contrapposizione alla Pop Art, l'Optical Art, poi contratta in Op Art.
http://www.youtube.com/watch?v=vaUme6DY8Lk
Fu la rassegna 'The Responsive Eye', del 1965, organizzata per il M.O.M.A. di New York da William Seitz, a portarla alla ribalta, grazie agli artisti provenienti da ogni parte del mondo, dai francesi Vasarely e Morellet all'inglese Riley, dagli italiani del Gruppo N ai Gersterner e Mack, all'israeliano Agam agli americani Louis, Stella, Noland e Albers.


Trailer di "The Responsive Eye"

Documentario  The Responsive Eye di Brian de Palma, 1965
"Più la modernità si agita per inventare umane soluzioni o anche soltanto umane distrazioni alle domande oscure che non avranno mai risposta e più la modernità produce insopportabili solitudini."
Ettore SOTTSASS, Foto dal Finestrino, Adelphi, Milano 2012, pag.25







Antonino Sinicropi












____________________________DEEPS Design by Cecilia POLIDORI - Design and Evolution of Experimental Prototypes Suggested - 2: a proposito del test del 6/11/2013 su: Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010

a proposito del test del 6/11/2013 su: Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010



1)  [...] nella grande città, cioè Torino, che allora sembrava una città molto progredita, per via della FIAT e di un miliardario che si chiamava Signor Gualino. il Signor Gualino aveva fatto costruire un lungo edificio sulla collina per farne un museo di arte moderna -cioè contemporanea- ma il signor Gualino, banchiere, aveva il difetto di essere antifascista e allora, non so come, se ne è andato da Torino."
Ettore Sottsass, "Scritto di notte", Adelphi Edizioni, Milano, 2010, pag 14, righe 27-35.
"Riccardo Gualino (Biella, 1879 – Firenze, 1964) fu un finanziere e industriale attivo sui mercati internazionali, uno dei maggiori dei suoi tempi, collezionista e importante committente di architettura moderna, mecenate attivo in campo teatrale e musicale e produttore cinematografico. Proveniente da famiglia biellese di imprenditori orafi, si dedicò al commercio dei legnami rifornendosi con imprese di disboscamento in Romania e costituì, sempre in campo edilizio, l'Unione Italiana Cementi a Casale Monferrato assieme a Werner Abegg. Noleggiò e costruì flotte di navi per il trasporto del carbone dagli Stati Uniti, fondando a Torino la SNIA (Società di Navigazione Italo Americana) che poi trasformò in Snia-Viscosa creando in Italia grandi stabilimenti per la produzione di filati artificiali. Ebbe un ruolo importante anche nella Fiat, di cui fu anche. Nel 1920, quando la Fiat subisce il tentativo di acquisizione ostile da parte dei F.lli Perrone di Genova, che controllavano l'Ansaldo (siderugia) si schiera a fianco di Giovanni Agnelli condividendo con lui il pacchetto di controllo. Creò altre imprese nel campo della chimica (Rumianca), dell'industria del cioccolato (Venchi Unica) e cinematografica (Lux Film), ed anche nell'attività bancaria e finanziaria, la Banca Agricola Italiana, poi confluita nell'Istituto San Paolo di Torino. Fu anche, assieme alla moglie Cesarina un grande mecenate e amante delle arti, amico del critico d'arte Lionello Venturi, che coinvolse in molte attività, e sostenitore di molti artisti. Raccolse un'importante collezione di arte antica, con i consigli del famoso critico, che passò poi alla Galleria Sabauda di Torino. La crisi del 1929 trovò Riccardo Gualino eccessivamente esposto in speculazioni finanziarie. Avverso al fascismo, non fu aiutato dal governo a superare il crollo del suo impero finanziario ed industriale e fu inviato al confino a Lipari, nel 1931 e l'anno successivo a Cava de' Tirreni con l'accusa di bancarotta fraudolenta. Colpito dall'interdizione a esercitare cariche amministrative, esercitò ugualmente il controllo della Rumianca e della Lux Film con Mario Palombi Procuratore, fondata in Francia. Futuri grandi produttori come Carlo Ponti, Dino De Laurentiis e Luigi Rovere considerarono Riccardo Gualino come il loro maestro."

2) "Mi dicevano sottovoce che nel tempo che era rimasto in città, il signor Gualino aveva fatto venire i balletti russi: i balletti di Diaghilev con Nijinskij e le scene di Bakst."
Ettore Sottsassop.cit., pag 15, righe 3-6. 

"

  Léon Bakst, pseudonimo di Lev Schmule Rosenberg (San Pietroburgo, 10 maggio 1866 – Parigi, 28 dicembre 1924), è stato un pittore,scenografo e costumista russo. Nato da una famiglia ebrea a San Pietroburgo, Lev Schmule Rosenberg studiò all'Accademia Russa di Belle Arti e all'Académie Julian di Parigi dove approfondisce la conoscenza dell'arte francese e si accosta al simbolismo; nel 1898 fonda con l'impresario teatrale Diaghilev il gruppo d'avanguardia Il mondo dell'arte. Disegnò scene per tragedie greche e nel 1908 si guadagnò una fama come creatore delle scene e dei costumi per Sergej Djagilev e i suoi Balletti russi riuscendo a coniugare la raffinatezza del simbolismo francese con la tradizione popolare russa. In questo contesto collaborò con alcuni dei maggiori compositori dell'epoca come Igor Stravinskij, Maurice Ravel, Reynaldo Hahn e Claude Debussy.
Tra le scenografie più suggestive che curò nella loro prima esecuzione sono da ricordare:Shéhérazade di Rimskij-Korsakov (1910), L'uccello di fuoco di Stravinskij (1910),Preludio al pomeriggio di un fauno di Debussy (1912),Daphnis et Chloé di Ravel (1912),Le Dieu Bleu di Hahn (1912).
Bakst ebbe una grande influenza sull'arte e sulla moda all'inizio del XX secolo, specialmente nella scenografia, di cui fu uno dei primi maestri moderni."

3) "[...] con il legno di cirmolo profumato e tenero, e infatti con quel legno tenero e quasi senza vene il papà di mia mamma qualche volta scolpiva anche statue di santi per gli altari nelle chiese di montagna vicino al cimitero."
Ettore Sottsassop.cit., pag 17, righe 2-6. 

"In passato il cirmolo era impiegato soprattutto per costruire mobili, armadi o rivestimenti per le stube (la stube o stua è una stanza completamente rivestita in legno, tipica delle zone alpine) . Si era notato, infatti, come i vestiti si conservassero meglio negli armadi realizzati con questo legno. Oggi viene utilizzato soprattutto per costruire letti e culle, data la sua capacità di garantire un buon riposo, e per il wellness. Viene usato poco come legna da ardere, poiché, se bruciato, emana un odore molto forte. Insieme al pino mugo è l'albero che cresce più ad alta quota.
Contiene vitamina C, oli essenziali, resina, trementina, pinoli. Secondo la tradizione popolare il cirmolo riesce a trasmettere un influsso positivo alla psiche umana, trasmettendo pazienza e la capacità di tenere il proprio obiettivo sempre davanti agli occhi.
Il nome scientifico è Pinus cembra L. , in Italia è presente nel Cuneese, nelle Valli torinesi, Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige, in Europa in alcune aree delle Alpi svizzere e austriache.
L'albero è di dimensioni modeste o medie, arriva a circa 25 m d'altezza e diametro inferiore a 70 cm. Il fusto è irregolare."

4) "La Fama di un solo generale si fa con diecimila corpi morti. (Tsao Sung, 800 d.C.)"
Ettore Sottsassop.cit.,  pag 24, righe 15-16.

"Ts'ao Sung (c. 830 - 910 ) è stato un poeta cinese della dinastia Tang . La sua poesia «Una protesta nel sesto anno di Ch'ien Fu» (879 d.C.) è considerata « la breve poesia contro la guerra più conosciuta nella letteratura cinese » (Ray & Ray, 1984). Gli anni della dinastia Tang sono stati il periodo d'oro della poesia cinese. Quasi cinquantamila poesie scritte nel corso di questi 300 anni sono ancora esistenti.  Fino al 755 d.C. la dinastia Tang era nel periodo di massimo splendore della sua potenza politica e militare ed i suoi imperatoriintrapresero una serie di guerre di aggressione contro i paesi vicini della Cina. Molti sono stati i soldati morti alle frontiere in queste guerre ed altrettanto numerose sono le poesie scritte sulla guerra di frontiera"
Murale che commemora la vittoria di
Zhang Yichao sopra i tibetani, Tardo Tang.
poem (*)
The submerged country, river and hill, is a battle-ground.
How can the common people enjoy their wood-cutting and their fuel-gathering?
I charge thee, sir, not to talk of high honours;
A single general achieves fame on the rotting bones of ten thousand.

Albert Richard Davis, The Penguin Book of Chinese Verse (1962), p. 28
(* ) traduzione
Il paese sommerso, fiumi e colline, sono un campo di battaglia.
come possono le persone comuni godersi il loro legno tagliato e la loro raccolta di combustibile?
Io ti scongiuro, signore, per non parlare di alti onori;
Un solo generale raggiunge la fama sulle ossa marce di diecimila.

5) "Alla scoperta di quell'orribile tipo di addio, ho reagito cominciando una raccolta di biglietti del tram. Ho cominciato a diventare un collezionista povero. Forse speravo di fermare il tempo. Attaccavo i biglietti sulle pagine di un quaderno ma anche se avevano bei colori chiari con i biglietti del tram non ha funzionato, il tempo non sono riuscito a fermarlo. Non sono mai riuscito a fermare il tempo anche se ho sempre provato."
Ettore Sottsassop.cit., pag  28, righe 19-27.

6) " Quando siamo arrivati a Torino avevo più o meno 11 anni, ma erano stati 11 anni innocenti, leggeri, luminosi. Undici anni fantastici."
Ettore Sottsassop.cit., pag  29, righe 21-23 .                                             

7/8) "Un giorno, un bambino un pò più grande e che mi sembrava vestito male è arrivato con palline d'acciaio. Mi sono spaventato. Quella volta non è stato l'abbassamento del mio stato sociale. Ho avuto una visione asfissiante di spazi di vita che non erano a mia disposizione e che non lo sarebbero mai stati. Da dove poteva venire una pallina d'acciaio? Come si arrivava a possedere una pallina d'acciaio? Chi si doveva essere per avere una pallina di acciaio? La pallina i terracotta si comprava dal tabaccaio. Più o meno anche la pallina di vetro- mi sembrava- l'avrei potuta raggiungere. Sapevo dove trovare oggetti di vetro o simili, bicchieri, bottiglie, bottoni, lampadine, vasetti di vetro, perline, collanine. Con il vetro avevo una certa dimestichezza, come con il legno, con i sassi, la stoffa, gli spaghi, i fiammiferi. Sapevo anche dove c'erano chiodi e martello; li avevi visti dal mio nonno falegname. Ma una pallina di acciaio era fuori dalla mia portata. Grande mistero, immenso, soffocante mistero: il vasto mistero della «civiltà» delle macchine? Cominciavo a dovermi confrontare con la civiltà delle macchine?"
Ettore Sottsassop.cit., pag 35, righe 5-22.


"In Italia la rivoluzione industriale ebbe inizio tra la fine del 1800 e i primi del 1900, solo per certe regioni settentrionali, quando si riuscì a utilizzare come fonte di energia quella idroelettrica.
Le fabbriche sorsero intorno al 1880 soprattutto in Lombardia, Piemonte e Liguria, sotto l'attenta guida alla monarchia accentuando lo sviluppo di queste regioni e il divario tra Nord e Sud si fece più grave. Sorsero industrie ancora oggi famose come la Breda a Milano, che fabbricava locomotive ferroviarie e armi per l'esercito, la Falk, che fondeva il ferro e produceva acciaio, la Pirellie la Marelli che fabbricano ancora pneumatici e accessori elettrici; la Fiat a Torino che iniziò al produzione automobilistica, l'Ansaldo a Genova e altre come la Montecatini, la Edison, la Moarzotto, l'Itala e l'Alfa Romeo.
I posti di lavoro aumentarono, ma le conduzioni degli operai rimasero ancora molto dure: 14-16 ore di lavoro al giorno, salari bassi, nessuna assistenza durante le malattie, né diritto alla pensione. La disoccupazione non poteva essere assorbita dall'industria ancora in fase di avvio.
Diverse manifatture tessili, un tempo fiorenti nel Mezzogiorno, furono costrette a chiudere, sopraffatte dalla concorrenza del Nord.
L'unica alternativa offerta a molti italiani dalla monarchia dei Savoia era l'emigrazione con tutto il suo carico di miseria e di sacrifici verso le Americhe, la Germania, la Francia, ecc.
Dal 1870 al 1914 ben 16 milioni di italiani emigrarono all'estero in cerca di fortuna.
Tuttavia, dopo l'affannoso decollo industriale sotto in governo di un liberale torinese Giovanni Giolitti (età giolittiana, 1903-1913), l'Italia ebbe un rilevante sviluppo industriale.
Giolitti fece approvare al suo governo leggi che riducevano l'orario di lavoro, garantiva il riposo festivo, rendeva obbligatoria l'assicurazione contro gli infortuni; fece istituire anche una cassa per la pensione di invalidità e di vecchiaia. Nel 1912, infine, Giolitti estese il diritto di voto a tutti i cittadini maggiorenni di sesso maschile anche se nullatenenti ed analfabeti. Anche Giolitti comunque lasciò irrisolti i problemi del Mezzogiorno, contribuendo a ritardarne lo sviluppo.
Purtroppo il "decollo" industriale avviato così bene da Giolitti, subì un rallentamento a causa della Prima e Seconda guerra mondiale riuscendo però a svilupparsi e ad affermarsi nel mondo, solo dopo il 1950, con il famoso boom economico (esplosione). Infatti l'Italia uscì dalla seconda guerra mondiale (1945) profondamente sconvolta; bisognava ricostruire tutto: città, vie di comunicazione, fabbriche, monumenti; le campagne erano devastate, la stessa società era lacerata dalla guerra civile tra partigiani e fascisti.
Questa difficile opera di ricostruzione venne affidata al governo non più monarchico ma repubblicano di Alcide De Gasperi, che tra il 1958 e il 1963 seppe provocare il così detto "miracolo economico" prevalentemente nel triangolo industriale compreso tra Milano, Torino e Genova.
Questo "miracolo" migliorò notevolmente il livello di vita degli italiani; nelle famiglie si diffusero gli elettrodomestici, le prime motociclette, le prime automobili prodotte in serie, a prezzi più accessibili. Un milione e mezzo di italiani lasciarono le regioni meridionali per spostarsi nelle zone industriali verso cui si dirigevano anche gli abitanti dei centri più poveri del Settentrione. In poco tempo interi paesi si spopolarono, mentre crebbe rapidamente il numero degli abitanti delle grandi città del Nord."

9) " Una volta suo marito, cioè mio nonno, le aveva regalato per il compleanno un paio di babbucce di velluto ricamate, e lei le aveva volute mettere la domenica per andare a messa anche se nella notte era nevicato molto. Così si era bagnata i piedi, che erano rimasti bagnati per tutta la lunga messa anche con il coro, nella chiesa gelata. Poi la nonna era tornata a casa, si era messa a letto con la polmonite e poco dopo era morta. Si chiamava Rosina."
Ettore Sottsassop.cit., pag 44, righe 18-26.

10) " Mio padre era figlio di Giovanni Battista Sottsass, detto Giobatta [...] "
Ettore Sottsassop.cit., pag  45, riga 1.


"Sottsass Ettore senior. - Architetto (Nave San Rocco, Trento, 1892 -Torino 1954). Allo studio a Innsbruck (1909-12) e a Vienna (1912-14), affiancò un apprendistato nei cantieri. Dal 1920 operò in Trentino nella ricostruzione delle zone devastate dalla guerra, ricercando nella tradizione locale soluzioni di rigorosa semplicità; si impegnò poi in realizzazioni più complesse: il municipio di Merano(1928-32) e lo stabilimento del Lido di Bolzano (1936). A Torino, dal 1928, fu con G. Pagano e G. Levi Montalcini tra i promotori del gruppo piemontese del MIAR, collaborando al discusso progetto di sistemazione di via Roma (1931); eseguì anche il palazzo della Moda (1938, trasformato nel palazzo delle Esposizioni da R. Biscaretti di Ruffia e P. L. Nervi, 1948). Nel dopoguerra elaborò soprattutto interventi di ricostruzione, di sistemazioni urbanistiche e di progettazione nell'ambito dell'edilizia economica e popolare (Torino, la Falchera, 1951-52)."

11) "[...] e la prima metà di via Roma è stata poi progettata dall'architetto romano Piacentini, perfetto visionario del nuovo impero, perfetto poeta del potere dello Stato, perfetto poeta del gigantismo disumano."
Ettore Sottsassop.cit., pag 64, righe 14-18.

"Marcello Piacentini (Roma, 8 dicembre 1881 – Roma, 18 maggio 1960) è stato un architetto e urbanista italiano del ventennio fascista. Operò intensamente in tutta Italia, ma durante il fascismo fu soprattutto a Roma che ebbe incarichi di particolare rilevanza. Gli edifici e gli interventi urbanistici realizzati da Piacentini nella Capitale non si contano: da una parte ne consolidarono l'immagine di architetto del regime o architetto di corte del duce[1], e dall'altra connotarono significativamente l'aspetto della città. Creò un neoclassicismo semplificato che voleva essere a metà strada tra il classicismo del gruppo Novecento (Giovanni Muzio, Lancia, Gio Ponti ecc.) ed il razionalismo del Gruppo 7 e M.I.A.R. di Giuseppe Terragni, Giuseppe Pagano, Adalberto Libera ecc. In realtà Piacentini fuse entrambi i movimenti, riuscendo a creare uno stile originale, con un'impronta spiccatamente eclettica pur nella ricerca della monumentalità tipica delle tendenze estetiche del tempo. Nel 1929 Mussolini lo nominò membro dell'Accademia d'Italia, che raccoglieva i migliori intellettuali italiani. I richiami alla tradizione classica saranno, soprattutto a partire dagli anni Trenta numerosi, contribuendo alla fissazione di quello stile littorio così caro a Mussolini ed alle alte gerarchie fasciste. Fra le operazioni più devastanti emerge tristemente la demolizione della Spina di Borgo per l'apertura di Via della Conciliazione a Roma, su progetto elaborato nel 1936 (ma portato a termine nel 1950) insieme all'architetto Attilio Spaccarelli. Antecedenti, fra il 1927 e il 1936, sono gli imponenti lavori di sventramento della Contrada Nuova di Torino per realizzare il tratto di Via Roma da piazza Carlo Felice a piazza San Carlo."
12) "E' anche vero però che invece di andare a sentire vecchi professori più o meno illuminati, andavo quasi tutti i pomeriggi a trovare un pittore molto antifascista e molto anarchico di nome Spazzapan. Spazzapan sapeva tutto della pittura contemporanea. da giovane era vissuto in Germania a Monaco, ai tempi del Blaue Reiter e poi a Parigi ai tempi di Picasso e compagni e di tutti quelli che c'erano a Parigi all'ora. Per me era diventato assolutamente necessario stare ore ed ore ad ascoltare quell'uomo; [...] mi sembrava assolutamente necessario ascoltarlo parlare di se stesso come se parlasse di uno sconosciuto di passaggio; [...] Spazzapan parlava di se stesso come di uno che forse non ha speranza ma neanche disperazione, come di uno che non ha presunzioni sul «progresso» ma neanche scarica le sue insicurezze con brontolii sul presente. questa di Spazzapan è stata un'importante -non detta- nozione di base: come se mi avesse detto, senza dirlo: «Sottass, parli sempre poco di se stesso, di quello che ha fatto o non fatto, di quello che farà, di quello che ha detto, di quello che è. Parli poco di se stesso, non soltanto per non annoiare gli altri, ma per non annoiare se stesso, per non credersi mai degno di tante parole, spiegazioni, introspezioni, lamenti, errori, eroismi, lodi, piedistalli»."
Ettore Sottsassop.cit., pag 52-53, righe 18-27/33-34/12-24.

"Luigi Spazzapan (Gradisca d'Isonzo, 18 aprile 1889 – Torino, 18 febbraio 1958) è stato un pittore italiano, di lingua slovena, ritenuto uno dei più importanti esponenti italiani della pittura astratta nel primo dopoguerra. Nel 1920 trova lavoro come insegnante di Matematica alle scuole medie di Idria, incarico che lascia presto per dedicarsi completamente alla sua grande passione, la pittura. Nel 1923 partecipa a Padova ad una mostra sul futurismo movimento artistico che aveva conosciuto di recente attraverso il gruppo futurista giuliano fondato dagli artisti Giorgio Carmelich, Sofronio Pocarini e Mirko Vucetich. La sua formazione artistica si compì anche attraverso alcuni viaggi che intraprese nella sua giovinezza nei maggiori centri della cultura figurativa del tempo fra cui Vienna e Monaco che gli permisero di accrescere e sviluppare la sua formazione artistica assimilando gli stili delle secessioni, dell'Art Nouveau, del futurismo, dell'espressionismo, fino a intendere precocemente le esperienze dell'astrattismo. Nel 1928 si stabilisce a Torino dove si accosta agli ideali del gruppo dei Sei di Torino che gli permette di creare uno stile personalissimo che tra vari richiami alle correnti moderniste del tempo seppe trovare spunti di sorprendente ricchezza inventiva andando ad incidere una traccia profonda sull'esperienza informale ma senza perdere la poetica che rimane sempre presente nella sua opera. Nel 1936 fu invitato alla Biennale di Venezia dove, nel 1954, ebbe una sala personale. Distinguendosi sempre come ottimo disegnatore con delle mostre di estrema sensibilità pur nel tratto nervoso dell'opera ispirato sia a suggestioni della secessione mitteleuropea che all'espressionismo, Spazzapan si adoperò anche in progetti ad uso industriale per decorazioni murali e disegni astratti per stoffe.Presso il suo studio a Torino, il giovane pittore Renaldo Nuzzolese residente a Torino e nato a Taranto lavora sotto la direzione di Spazzapan come collaboratore. Come artista Nuzzolese cita il Maestro durante le esposizioni a Taranto e all'Exo-Arte di Bari nelle "mostre d'avanguardia" promosse dall'artista Vittorio Del Piano in Puglia. Viene anche più volte citato dall'architetto e designer Ettore Sottsass nel libro "Scritto di notte" che ricorda quando da bambino passava lunghe giornate nello studio dell'artista, ammirandone le capacità tecniche e concettuali."

13) "[...]Quando mi hanno visto entrare sono scoppiati a ridere, come se sulla scena fosse apparsa una grassona inutile che non sapeva né cantare né ballare. Io ero biondo, con i capelli quasi bianchi, avevo la frangetta e penso anche la faccia un pò tonda e la pelle molto pulita , bianca e rossa come una mela e forse gli occhi spalancati. [...] Quella risata immensa dedicata a me non la dimenticherò mai. Quando l'ho raccontato a mia madre lei mi ha bagnato i capelli e mi ha mandato a letto con la frangia tirata indietro e tenuta ferma con una stoffa. La mattina al risveglio, avevo i capelli dritti come Ollio, e non sono andato a scuola."
Ettore Sottsassop.cit., pag  64-65 righe 31-34/1-2/8-13.

Alessia Chillemi
 

André Courrèges - 5 Autori - versione finale 14 post


André Courrèges 

Les choses n'ont plus jamais été les memes après l'explosion provoque par André Courrèges "
"Le cose non saranno più le stesse dopo l'esplosione causata da André Courrèges"
(da: Audrey VautherotAndré Courreges : un couturier audacieux ( trad. itAndré Courregès : una moda audace
"Fondatore dell'ominima casa di moda, André Courrèges è un designer francese, famoso per il suo stile ultra moderno. Laureato in ingegneria civile [...] inizia la sua carriera presso la maison Jeanne Lafaurie, passando poi daBalenciaga. Il suo stile inconfondibile è ispirato all'architettura ed alla tecnologia; i suoi capi sono un omaggio alla geometria, costruiti su forme quadrate e triangolari. La ricerca di materiali inediti, come la plastica e il metallo ha creato abiti unici nella storia della moda, rendendo la maison una fra le più innovative di sempre. Insieme a Mary Quant, Courrèges è considerato uno degli inventori della minigonna ".
André Courrèges,1965

André Courregès, 1964

Nel 1963 introduce i pantaloni per ogni occasione. Usati dalle donne solo per gli eventi informali ora diventano, invece, un abbigliamento giornaliero. "Il successo arriva con la collezione del 1965 che rivoluziona l'alta moda proponendo [...] i mini abiti. Courregès accorcia le lunghezze e gioca con forme, materiali e colori: il bianco, sempre presente, è in contrasto con colori accesi. Per rendere la donna giovanile, elimina le "barriere" che da sempre caratterizzano il guardaroba femminile, come corsetti e reggiseni. "
A woman’s body must be hard and free. Not soft and harnessed [...] "
" Il corpo della donna deve essere forte e libero. No debole e imbrigliato [...] " 
(daAndré Courrèges, http://onthisdayinfashion.com/?p=4984 )
Marella Agnelli veste André Courrèges
La Moon Girl Collection rivoluziona, quindi, il modo di vedere e fare la moda in Francia"Alcuni hanno definito le creazioni di Courrèges "automobilistiche", per l'idea di slancio esprint che sapevano trasmettere, e non è un caso, quindi, che le sue collezioni fossero particolarmente apprezzate da Gianni Agnelli e consorte, l'altera ed elegantissima Marella.[...] I tagli dello stilista francese, puliti ed essenziali, suscitavano le critiche di quanti vedevano in questo design ultramoderno uno svilimento della figura femminile: le linee non si adattavano alle forme sinuose del corpo, non esaltavano la grazia del fisico. Eppure i suoi capi avevano la capacità di ringiovanire la figura della donna [...] le modelle di André Courrèges incarnano il mito del futuro e della conquista dello spazio: ovunque compaiono stelle e lune stilizzate. L'uso dei materiali diviene ben presto ricercato e avanguardistico, il crochet ( processo di creazione di tessuti a partire da filati, filo, o altri filamenti di materiale utilizzando un uncinetto ) si innesta su delicate trasparenze, l'etereo si contamina di modernità, appaiono oblò su little dress [...] 
Françoise Hardy veste Courrèges in un concento del 1965
Sempre nello stesso anno, un altro evento segna la carriera di Courrèges, aggiungendo un altro successo alla collezione dello stilista e decretando, contestualmente, la fama di un astro nascente come Françoise Hardy. Alla cantante, infatti, venne affidata la co-conduzione del programma Dim, Dam, Dom [...] e il couturier disegna per lei un ensemble, tanto semplice quanto innovativo, in due varianti di colore: bianca e nera.
(da: Letizia Annamaria Dabramo, André Courrèges in Vouge encyclo, http://www.vogue.it/encyclo/stilisti/c/andre-courreges )

                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                            DIM DAM DOM è una trasmissione televisiva francese che ebbe un grande succeso negli anni 60. "Ogni puntata si componeva di un insieme di brevi dialoghi e immagini presentate da speaker ogni volta diverse come giovani attrici o cantanti allora in voga"


Lunettes Eskimo, André Courrèges
Coco Chanel, critica gli abiti di Courrèges, ritenendoli "più adatti alle bambinette di due o tre anni" (da: Franca SozzaniSpace Style in Vouge encyclo http://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2012/08/31-agosto#ad-image216244) che alle donne adulte.

Go-go Boots, André Courrèges
Innovativi e futuristici furono i suoi Lunettes Eskimo : "occhiali da sole con lenti enormi che presentavano una fessura, quasi come fosse una palpebra socchiusa(da: Letizia Annamaria Dabramo, op. cit.). Queste lenti, dalle forme arrotondate, richiamavano tipiche sembianze aliene, accentuando ancora di più l'aspetto ultraterreno delle modelle di Courrèges.
Ma anche gli stivali Go-go boots, richiedono una menzione speciale: " Un vero e proprio segno distintivo degli anni sessanta : generalmente di plastica bianca, arriva poco sopra alla caviglia e sul davanti è decorato da un semplice nodo che sembra realizzato con la pelle tolta all'asola ritagliata sulla sommità dello stivaletto stesso. Tutte le donne che si potevano permettere minigonne, pantaloni e collant colorati op e pop scelsero queste calzature per tutte le ore del giorno, anche per quelle da passare in discoteca. " 
(da: Gabriella Damato, Moda e design : stili e accessori del novecento , Bruno Mondadori, Mi , 2007 , pag 165, dalla riga n 8 alla riga n 15 )
Courrèges riesce a trasformare, quindi, un accessorio, fino a quel momento per lo più maschile, in un indumento femminile, riscuotendo un successo enorme.
Lo stesso Courrèges affermava: "[...]  Sulla strada dell’emancipazione e del futuro si cammina con i tacchi bassi. " (da: Franca Sozzani , op. cit.
Courrèges è stato un precursore anche nel passaggio dall’alta moda al prêt-à-porter: la sua collezione Couture Future, nel 1967, prevedeva 15 modelli in 5 taglie e con orli regolabili. Poi arrivarono la Prototype, la Maille, la collezione Courrèges Homme e il suo primo profumo, Empreinte. " (da: Franca Sozzani , op. cit.
Ma è nel 1969 che introduce l' Egyptian look, dando per la prima volta all'Egitto un look alla moda : parrucche di metallo, tagli di capelli geometrici, colori metallizati.
Negli anni Sessanta si assiste anche a una trasformazione delle sfilate. "Un esempio del nuovo clima si può ritrovare nella presentazione della collezione di Courrèges del 1964, che segna un punto di svolta. « Nel Gennaio 1964 – scrive Caroline Evans – i giornalisti che partecipavano al salon di Courrèges a Parigi rimasero attoniti nel trovare una stanza moderna con bianche pareti di vinile e scatole bianche su cui sedersi. Suonava una musica forte e quando lo show ebbe inizio, uscirono fuori ragazze giganti con stravaganti acconciature»(da: Davide Mariani, presentazione in atelier davanti a poche clienti alle passerelle contemporaneehttp://www.unconventionalproject.com/online/lang/en-us/le-sfilate-spettacolo ) [...] non più le solite passerelle allestite negli atelier per una selezionata élite, ma modernissimi filmati girati nei luoghi-simbolo di Parigi, o scenari innovativi. [...] Le mannequins di Courrèges uscivano fuori dagli armadi e assumevano posizioni plastiche, accantonando passo felino e pose ammiccanti. " (da: Letizia Annamaria Dabramo, op. cit.)
André Courrèges e le sue modelle















André Courrèges, Parigi, 1969
" Mon Style va avec une silhouette, une facon de se mouvoir dans la vie "
" Il mio stile accompagna la silhouette, un modo di muoversi attraverso la vita " 





Sara Mazzeo 
Marina Arillotta
Marco Petrolo
Michele Bagnato
Danilo Russo



Mary Quant - 9 Autori - versione finale 5 post

Mary Quant 
Mary Quant
“Forse un giorno tutti gli stilisti comprenderanno che il mistero è un'importante regola guida per la moda. Ma nei primi anni sessanta i tempi stavano cambiando. Non si può attribuire interamente la colpa al Vietnam o al Concilio Vaticano II, ma il cambiamento era nell'aria e una stilista inglese, giovane e coraggiosa, irruppe sulla scena. Era Mary Quant, la ragazzina che non voleva crescere e che, soprattutto, non voleva indossare vestiti da adulta.
Arriva la minigonna, arrivano le calze colorate, arrivano gli stivali alti. Prende piede la premessa che chi è giovane non deve mai, a nessun costo, sembrare vecchio. Quando a Mary Quant fu chiesto di spiegare il significato della moda e i suoi scopi, lei rispose con decisione: «Sesso»”. (da: Mary Higgins Clarkhttp://it.wikiquote.org/wiki/Mary_Quant)
Siamo all’inizio degli anni 60, agli albori della rivoluzione sessuale, nel pieno dei controversi rivolgimenti socio politici, quando i giovani decidono di reagire al conformismo dilagante e agli stantii valori borghesi mostrando il corpo” . (da: Cecilia Musmeci, Body Evolution,http://www.vogue.it/encyclo/moda/b/body-evolution)
Bazaar
Questa ribellione, si manifesta molto forte nella Swinging London, dove “le boutique diventarono il luogo privilegiato di incontro e aggregazione dei giovani” Tra le pietre miliari di quest’epoca abbiamo: “Mary Quant, che apre il suo Bazaar nel 1958. Lo shopping […] si trasformò in un fondamentale strumento di riconoscimento identitario. […] La frequentazione di specifici luoghi di vendita, divenne un tramite per formalizzare l’appartenenza a piccole ed esclusive nicchie sociali. Tuttavia è con l’apertura della seconda boutique che Mary Quant riuscì a conquistare definitivamente il mercato ed a far parlare di sé nelle riviste di moda di tutto il mondo. Il nuovo Bazaar venne aperto nel 1961 in King’s Road e sancì il definitivo successo di questa nuova forma di negozio.” 
(da :Alfonso MoroneGli anni 60: Biba, Mary Quant e la Swinging London http://www.federica.unina.it/architettura/laboratorio di-sintesi-finale-disegno-industriale/biba-mary-quant-swinging-london/)
Come simbolo del proprio Bazaar M.Q. utilizzerà una margherita. Il suo stile molto semplice e colorato contrastava nettamente con quello allora in voga e che si adattava perfettamente al nuovo stile optical che si stava affermando.
(da: Edward SteichenAltheo storie di moda, http://altheomagazine.blogspot.it/2012/01/altheo-storie-di-moda-mary-quant.html)
All’interno di questi nuovi negozi “gli stilisti più visionari del momento, inventano il "mini". […]Con abiti e gonne il cui orlo sfiora appena la proibitissima metà coscia, e con body super aderenti esaltano la silhouette e fanno nascere una nuova concezione delle forme femminili, una nuova consapevolezza fisica, appunto, una seducente "body consciousness", massimamente sintetizzata nel "monokini", il costume da bagno fatto di soli slip ideato nel 1964 dall'austro-americano Rudi Gernreich.” con cui la stessa M.Q. ha più volte lavorato.  (da: Cecilia Musmeci, op.cit.) 
Mary Quant e Rudi Gernreich
L’ispirazione le viene dalla strada, dalla Pop Art, dai primi trionfi dell’era spaziale. Le creazioni sono tutte più colorate, più eccessive, più eccitanti delle precedenti. “I bravi stilisti sanno che per essere influenti devono seguire ciò che accade nelle strade e fiutare l’aria – dice la Quant -. Io ho cominciato proprio quando nell’aria qualcosa stava per accadere. Ho creato abiti che si adattassero perfettamente al momento, fatto di dischi pop, caffè e jazz”. (da:http://webcache.googleusercontent.com/search?q=cache:s9W_z_EqqvQJ:docenti.lett.unisi.it/files/12/12/5/2/minigonna_word.doc+&cd=11&hl=it&ct=clnk&gl=it).
Per il nome Quant si ispirò alla nota automobile inglese: la Mini. Tanto che nel 1988 la casa automobilistica Austin decise di dedicare una Mini a M.Q. La nuova Mini venne chiamata Quant e lei ne progettò gli interni e con motivi a margherita sul volante e il distintivo sul cofano anteriore. (foto da: Astilla 999, 1988 Mini 'Designer' Mary Quant, http://www.flickr.com/photos/astilla999/3353881408/in/photostream/lightbox/)
Interni mini 1988 Mary Quant
(da http://www.austinmemories.com/page8/page36/page36.html)

"La mini fu subito considerata indecente e molti erano sdegnati: per esempio, Coco Chanel citando Christian Dior disse che il ginocchio era la parte meno attraente della donna, che pertanto sarebbe stato meglio tenere nascosta" (a cura di Cristina Mora, Stefania Tozzi, Patrizia Vayola, Gabriele Zaio, L'abbigliamento e la moda negli anni del boom economico, http://www.bibliolab.it/boom_ciosf/abbigliamento.htm) e Cecil Beaton, fotografo e costumista britannico, disse: “Mai nella storia della moda un indumento così piccolo è stato portato così in alto per svelare così malamente ciò che dovrebbe restare coperto”. 
"Nonostante le critiche, negli anni '60 le sottane delle donne diventarono man mano sempre più corte, fino ad arrivare in certi casi a coprire a malapena gli slip." (Linda R. Felletti, Le idee che hanno cambiato la moda #5 La minigonna, http://laragazzaconlasciarpablu.wordpress.com/2013/04/15/le-idee-che-hanno-cambiato-la-moda-5-la-minigonna/)


M.Q. non realizza solamente la rivoluzionaria mini, di cui si contende il brevetto con Courreges, ma introduce nell’industria della moda anche miniabititailleurs pantaloni, hot-pants, tigths in PVC lucido, impermeabili dalle vivaci fantasie e dei particolari stivali dotati di zip, che ne permettevano la trasformazione in semplici scarpe. Inoltre utilizza maglioni stretti in vita con righe fortemente marcate e dai colori sgargianti.
(da: Lorna, Mary Quant, http://lornalooksback.blogspot.it/p/mary-quant.html;
Ilaria Valentinuzzi, Hot Pants, http://nonsidicepiacere.blogspot.it/2012/04/hot-pants.html ;

Valentina Fiore, Mary Quant, Mod style and Beatles..., http://fioccorossofuoco.blogspot.it/2012/04/mary-quant-mod-style-and-beatles.html).
"Altrettanto importante è stato il modo con cui M. Q. ha rivoluzionato il modo di concepire lo spazio di vendita ed in particolare le vetrine. Esse dovevano dare forma a un nuovo stile di vita rappresentato dagli abiti ed accessori e quindi dovevano essere sorprendenti e colorate in modo da attirare l’attenzione del passante. L’allestimento divenne così un elemento fondamentale. Allo stesso tempo la vetrina doveva indurre i passanti a varcare la porta d’ingresso, invogliandoli a scoprire il negozio vero e proprio. Diventano di conseguenza importanti anche i manichini, che rappresentano un ulteriore elemento di fascinazione. Quant si rese conto che quelli usati nei negozi tradizionali erano troppo lontani dalle caratteristiche fisiche reali ed attuali degli individui. Diventarono allora protagonisti dei suoi spazi espositivi manichini più simili nell’aspetto alle persone comuni, dagli zigomi alti, visi angolari e tagli di capelli più vicini alla moda del momento." (Da: Alfonso Morone, op.cit.)



"[...] Italia, la mini inizia a diffondersi nel 1966, ma rimane per diverso tempo un indumento mal visto, indossato nei locali, e si registrarono anche casi di ragazze che vengono denunciate, quando la gonna indossata in pubblico era considerata troppo corta.  Oltre [...] ai tentativi di regolamentazione per scuole e luoghi pubblici, alla mini si ebbero anche forme di reazione violenta, con aggressioni nei confronti delle ragazze che la indossavano. Ci fu anche chi denunciò la minigonna come un passo indietro nella lotta per la parità dei diritti delle donne, essendo un qualcosa che le avrebbe rese solo un oggetto di attrazione sessuale. Fortemente critica nei confronti del nuovo capo di abbigliamento fu la Santa Sede, in quanto era ritenuto un abito "degradante" nei confronti della donna. Le autorità vaticane, [...] vietarono di fatto alle donne con la gonna al di sopra del ginocchio l'accesso a diversi edifici della città. Anche nel resto del mondo la mini non venne accolta bene: in Cina nel pieno fermento della Rivoluzione Culturale la mini venne fortemente criticata e vista come "la depravazione dell'occidente capitalista",  mentre iAustralia le gonne rimasero sotto al ginocchio per buona parte degli anni sessanta. Anche in diverse nazioni dell'Africa la minigonna venne vista come un simbolo della decadenza del mondo occidentale che avrebbe corrotto i costumi locali".
(da: Origine e prima diffusione, http://it.wikipedia.org/wiki/Minigonna )


Taglio di capelli alla Quant

Pochi nella storia della moda sono riusciti nell’intento di lasciare il segno come fece Mary Quant. Realizzò la mini, un capo che rivoluzionò il mondo femminile  e il modo di pensare del mondo in relazione alla figura femminile. Ancora oggi dopo essere passati più di 50 anni la mini continua ad essere uno capi più indossati dalle donne in segno di indipendenza ed emancipazione. M.Q. oggi è a capo di una grande casa produttrice di moda e cosmetici che esporta soprattutto in estremo oriente e in Giappone. Così come iBeatles avevano condizionato fortemente il modo di vestire e di portare i capelli dagli anni 60 in poi così anche M.Q. trasformerà il look delle ragazze degli anni 60. Il taglio di capelli alla Quant fortemente spigoloso e a caschetto diventerà una icona di questo periodo.

(Vintage FashionFabulous Mary Quant Fashion Show in London, 1967)

(Fashion Tv, Mary Quant: Focus on Designers | FashionTV ESPANA, 2013) 

Andrea Menguzzato,   Teresa Rita Bertino,  Francesca Maria Derenzo, Mariagiovanna Foti, Annalisa Gitto, Davide Brian Isaja, Davide Luciano, Roberta Ricci, Domenico Rocco Rondinelli

per il 2011-2012: cecilia polidori TWICE DESIGN LESSONS: GRADUATORIA DEFINITIVA in ...
1 nov 2012 - Caricato da Ephraim Pepe

Nessun commento:

Posta un commento